Venerdì 07 Gennaio 2022 10:01 |
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Omicidio di Varese
Chi difende i figli di genitori vittime di violenza?
Risposta alle provocazioni di due giornaliste de Il sole 24 ore
“Omicidio di Varese, chi difende i figli delle donne vittime di violenza?” è il titolo dell’articolo, pubblicato su “il sole 24 ore” del 5 c.m., a firma di Chiara Di Cristofaro e Livia Zancaner, preoccupate, principalmente, di addossare l’accaduto al “principio astratto di bigenitorialità a tutti i costi”, applicato nei tribunali italiani, dove “ancora troppo spesso si ignorano le denunce e i precedenti di violenza nei processi di affidamento e nelle decisioni che permettono al genitore violento di vedere il proprio figlio”. Le coordinatrici dell’articolo si pongono la domanda, giusta in sé, se un padre violento può essere un buon padre? La risposta a questa domanda - sostengono però - appare scontata, così ancora non è nel nostro Paese.
Omicidio di Varese, chi difende i figli delle donne vittime di violenza?
scritto da Chiara Di Cristofaro e Livia Zancaner il 05 Gennaio 2022
Il figlicidio di un bambino di sette anni è ignobile e non esistono scusanti per sminuire la bestialità del gesto, come è ignobile il gesto con cui tante madri, di cui l’informazione non ne parla in modo adeguato, sopprimono il proprio figlio, abbandonando il suo corpicino nei cassonetti. Se esiste una generica scusante psicologica di stato depressivo per quest’ultime, simile evenienza non può essere negata ai padri. La violenza non è mai giustificabile e bisogna combatterla sempre e in ogni sua forma in cui si manifesta, anche quando si manifesta in modo subdolo. Troppe accuse materne, come esperienza ci insegna, nel tempo si rivelano infondate e troppi padri vengono espropriati, con arroganza e violenza, dei propri diritti genitoriali. Parliamo di tutto ciò e andiamo a ricercare le vere responsabilità sia nei tribunali, che nei servizi sociali e nell’immorale comportamento di genitori affidatari/collocatari, troppo “protetti” dalle istituzioni, e che finiscono per far profonda e drammatica violenza, esistenziale e non solo, ai minori e al genitore estromesso dalla loro vita.
La bigenitorialità non c’entra nulla con le menti malate ed è un principio che, se veramente applicato nei tribunali, salvaguarderebbe la vita di tanti minori e di tanti loro genitori. Inviterei le coordinatrici dell’articolo a parlare della bigenitorialità con cognizione di causa e non per rispetto di una consolidata prassi di genere, che vede la violenza sempre e comunque riconducibile al solo maschio e che continua a ritenere i figli una “proprietà” della madre.
Fatte queste dovute premesse, affrontiamo la questione della violenza tra i genitori e verso i minori.
Lasciamo stare le “facili e strumentali” interpretazioni delle convenzioni internazionali e le consolidate posizioni – e non potrebbe essere diversamente – delle responsabili di commissioni parlamentari contro il femminicidio, che chiedono la immediata circolarità delle informazioni fra i vari comparti della Giustizia, senza minimamente porsi il problema della attendibilità di certe denunce e/o querele, che vanno sempre verificate e che troppo spesso il tempo smentisce.
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Venerdì 31 Dicembre 2021 10:50 |
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Quando il tribunale riduce o revoca l’assegno di separazione o divorzile
Il beneficiario deve restituire tutte
le somme indebitamente percepite
avv. Francesco Valentini*
L’ordinanza della Cassazione civile (n. 28646 del 13-18 ottobre 2021) stabilisce che quando il beneficiario non ha più diritto all’assegno di mantenimento e/o all’assegno divorzile e il tribunale riconosce le ragioni dell’obbligato, che ne aveva chiesto la revisione o revoca, deve restituire integralmente le somme indebitamente già percepite. La revoca o riduzione di un diritto riconosciuto dal giudice al momento della separazione e/o del divorzio avviene quando il titolare del diritto si risposa, ha una stabile convivenza o relazione, diviene beneficiario di una consistente eredità, ha un lavoro ben retribuito.
Dinnanzi a questi fatti, l’obbligato ha il diritto di chiederne la restituzione, poiché, come afferma la Suprema Corte (Cassazione civile, ordinanza n. 18287/2018 del 11.07.2018), l’assegno divorzile ha una natura assistenziale, compensativa e perequativa, al fine di compensare le aspettative sacrificate per la cura della famiglia e per mitigare il principio della semplice autosufficienza economica.
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Venerdì 31 Dicembre 2021 10:42 |
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Guida all’Assegno Unico per i figli
avv. Francesco Valentini*
L’Assegno Unico Universale nasce come decreto legislativo attuativo della legge n. 46/2021, del 01.04.2021, che delegava il governo ad adottare uno o più decreti legislativi per "riordinare, semplificare e potenziare, anche in via progressiva, le misure a sostegno dei figli a carico, attraverso l'assegno unico e universale". L'obiettivo è "favorire la natalità, sostenere la genitorialità e promuovere l'occupazione, in particolare, femminile".
L’assegno è compatibile con eventuali altre fruizioni in danaro, erogate a favore dei figli dalle regioni, da enti locali e dalle province autonome di Trento e Bolzano, con il reddito di cittadinanza. La somma percepita non concorre al reddito complessivo di chi lo percepisce.
E’ previsto uno stanziamento di 15.142,5 milioni di euro per il 2022, elevato, nel 2023, ad euro 18.242,2 milioni e a euro 18.714,6 milioni per il 2024.
Chi ne ha diritto
L’assegno è riconosciuto ai nuclei familiari con figli minorenni a carico (compresi i figli minori adottati e in affido preadottivo), a partire dal settimo mese di gravidanza ed è esteso ai figli maggiorenni fino al 21° anno di età, eccetto in caso di inabilità degli stessi, purché il figlio maggiorenne a carico frequenti un corso di formazione scolastica o professionale, un corso di laurea o svolga un tirocinio ovvero un’attività lavorativa con un reddito complessivo inferiore a 8.000 euro, sia registrato come disoccupato e in cerca di un lavoro presso i servizi pubblici per l’impiego o svolga il servizio civile universale.
Spetta ai nuclei familiari con figli minori a carico che non hanno diritto all’Assegno per il Nucleo Familiare (ANF), quali i lavoratori autonomi, i disoccupati, coltivatori diretti, coloni e mezzadri, i titolari di pensione da lavoro autonomo, nuclei che non hanno uno o più requisiti per godere dell’ANF.
Per accedere all’Assegno unico ai cittadini vengono richiesti alcuni requisiti e precisamente: far parte di uno Stato europeo, il richiedente e i suoi familiari, ed avere l’attestato di soggiorno; essere cittadini di uno Stato extraeuropeo con permesso di soggiorno Ue per coloro che vivono in Italia da lungo periodo e che sono in possesso del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca da almeno un semestre; essere domiciliati o residenti in Italia e avere i figli a carico sino al 18° anno di età; la residenza in Italia deve essere di due anni, anche non continuativi, con contratto di lavoro a tempo indeterminato o a tempo determinato di durata almeno semestrale. Tutti devono pagare in Italia l’imposta sul reddito.
A quanto ammonta l’importo
L'ammontare dell’assegno è determinato in base alla condizione economica del nucleo familiare, come attestato dall’Isee, e per il primo e secondo figlio minore saranno erogati 175 euro al mese se l’attestato Isee sarà pari o inferiore a 15.000, che, a scalare, scenderanno ad euro 50 mensili con un Isee pari a 40.000 euro e tale importo resterà invariato in caso di superamento di detto limite. A partire dal 3° figlio, l’assegno sarà aumentato, proporzionalmente, di 85 euro ridotto, proporzionalmente all’Isee, fino ad un minimo di euro 15.
Sono previste maggiorazioni per ciascun figlio con disabilità, per le madri di età inferiore a 21 anni, per i nuclei familiari con quattro o più figli. Nel caso in cui ambedue i genitori percepiscano un proprio reddito, è prevista una maggiorazione di €. 30 a figlio minore proporzionale all’Isee, che, però, dopo i 40.000 euro, viene meno. Per i nuclei familiari con 4 o più figli, dal 2022, viene riconosciuta una maggiorazione forfettaria di euro 100 al mese per nucleo.
Per quanto riguarda invece i figli maggiorenni, con il limite di 21 anni di età, è previsto un importo mensile di 85 euro per un Isee fino a 15.000 euro, che si riduce progressivamente fino a 25 euro per 40.000 euro di Isee. Tale importo resta invariato per redditi superiori al limite massimo.
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Mercoledì 29 Dicembre 2021 14:51 |
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Cassazione
Cari figli, la pacchia potrebbe essere finita
Avv. Francesco Valentini*
Altra ordinanza della Cassazione (Cassazione, sez. 1a Civ., ordinanza n. 38366/2021) che non potrà essere ignorata nei tribunali italiani quando sono chiamati ad esprimersi sull’assegno di mantenimento ai figli maggiorenni con titolo di studio conseguito per esercitare una propria professione. Questa ordinanza aiuta il genitore obbligato, costretto, talvolta, a continuare a mantenere i figli maggiorenni con scarsa voglia di trovarsi una occupazione e rendersi economicamente autonomi, ed i giudici, non sempre attenti alle ragioni del genitore non collocatario.
La Cassazione riafferma in modo chiaro che i figli maggiorenni hanno il dovere di trovarsi una propria occupazione, di rendersi economicamente indipendenti e che non possono più continuare a vivere con il mantenimento dei genitori. Ne consegue che si dovranno attivare per trovarsi un’occupazione stabile, indipendentemente dal titolo di studio posseduto, e, se non ci riescono, dovranno affidarsi ai finanziamenti sociali pubblici, ma non più all’assegno di mantenimento di un genitore.
Con altra ordinanza, la Cassazione (Cassazione, sez. 1a Civ., ordinanza n. 40882/2021) afferma che i figli maggiorenni, disoccupati o nullafacenti, non possono contare sull’aiuto della famiglia anche quando versano in una condizione di bisogno e non sono in grado di provvedere a sé stessi, ma devono chiedere il reddito di cittadinanza. Se persevera lo stato di bisogno per causa a loro non imputabile, è ammesso l’aiuto della famiglia, come prevede l’art. 438 c.c., che stabilisce che il sostentamento della famiglia è ammesso solo a chi non è in grado di provvedere a sé stesso, perché inabile al lavoro o non riesce a reperire una occupazione per cause a lui non imponibili. Se non ha fatto, in caso contrario, richiesta del reddito di cittadinanza, manca l’effettivo stato di bisogno.
«L’accertamento dell’impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari – si legge nell’ordinanza 40882/21 – non può poi prescindere dalla verifica dell’accessibilità dell’alimentando a forme di provvidenza che consentano di elidere, ancorché temporaneamente lo stato di bisogni (si pensi oggi, al reddito di cittadinanza di cui al Dl 4/2019, convertito dalla legge n.26/2019) ….. è da credere che, nella partita del diritto agli alimenti, la colpevole mancata fruizione di tali apporti giochi lo stesso ruolo dell’imputabile mancanza di un reddito da lavoro; nell’uno e nell’altro caso si delinea l’insussistenza di quell’impedimento oggettivo ad ovviare al lamentato stato di bisogno che è condizione per l’insorgenza del diritto in questione».
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