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Venerdì 13 Novembre 2015 13:04

Dove finiscono i soldi pubblici


Centri antiviolenza umbri

Occorre vederci chiaro


E’ in atto una campagna di raccolta fondi pubblici da parte dei Centri antiviolenza umbri. La regione sembra orientata a rinnovare i finanziamenti per la gestione di queste strutture di cui, in concreto, poco si conosce. Per esempio non si conoscono come vengono amministrati i soldi pubblici a loro affidati, come vengono dati gli incarichi professionali, con quali criteri vengono accolte le donne e loro figli nelle strutture di accoglienza gestite da questi organismi.

La violenza sulle donne esiste, è vero, ma ogni intervento in loro sostegno deve essere seriamente valutato e non basta dire che ciò che avviene all’interno delle mura domestiche è di difficile dimostrazione. Generalizzare questa convinzione non aiuta chi veramente subisce la violenza ma potrebbe  finire per coprire anche donne senza scrupoli che proprio per “giustificare” le loro responsabilità finiscono per accusare l’uomo di ignobili crimini. Spesso le persone che accusano hanno un loro passato poco edificabile e lo fanno per fini per diversi.

Questi centri devono avere uno statuto chiaro e vincolante, sottoposto all’approvazione degli enti che li finanziano, e tutta la loro attività deve essere regolata da un protocollo di intesa a garanzia di chi vi fa ricorso ma anche di tutti i cittadini e, quando sono presenti, dei minori accolti nelle loro case protette.

Queste strutture usufruiscono di cospicui finanziamenti pubblici regionali – e talvolta anche nazionali – e il loro operare deve essere puntualmente regolato ed improntato alla massima trasparenza.

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Giovedì 12 Novembre 2015 16:56

Tribunale di Monza


Arroganza senza ritegno!


Una seguitissima trasmissione televisiva, alcuni mesi or sono, aveva sollevato seri dubbi sul funzionamento del tribunale di Monza. Si auspicava, con questa pubblica denuncia, un cambiamento di rotta. Speranza infranta poiché quella istituzione sembra far parte di un altro Stato dove i diritti del cittadino, di fatto, non sempre vengono tutelati.

Il pregiudizio nelle istituzioni, se esiste, è la morte della giustizia e della democrazia.

In queste pagine abbiamo riferito di una madre e di una minore di sei anni “ostaggi” di un tribunale che costringe loro a vivere in un paese della zona perché così vuole il padre (sarebbe più giusto dire la nonna paterna) e non si tiene conto che la stessa non colà non trova lavoro e che lui percepisce uno stipendio di oltre 1.600 euro al mese (14 sono le mensilità!) e, nel tempo libero, invece di stare con la figlia – che sistematicamente lascia a persone terze anche a dormire - svolge altre attività commerciali e artigianali con la nuova compagna, mentre paga un esiguo assegno di mantenimento. La casa familiare affidata alla figlia e alla moglie è della suocera e lui vive in una casa nuova acquistata da sua madre ma intestata a lui come prima casa per non pagare le tasse, mentre il mutuo, stando ai movimenti bancari, è pagato dalla madre. Nella casa familiare non ha mai avuto la residenza, mentre sua madre resta “saldamente” nello stato di famiglia della moglie e figlia. L’ex nuora, a causa della pensione della suocera che si aggiunge al suo misero stipendio, non può accedere al patrocinio gratuito e - cosa ancora più grave - non ha risorse per pagarsi legali, ctu e quant’altro per potersi difendere nelle sedi giudiziarie dai continui attacchi di marito, suocera & C.

La madre è senza lavoro e deve vivere con un assegno mensile di mantenimento per lei e per la figlia di €. 550,00. L’abitazione in cui la madre “deve risiedere” ha un costo di utenze di oltre 200 euro al mese! La madre, con laurea e specializzazioni varie, si è diplomata anche come operatrice socio-sanitaria per avere la possibilità di reperire più facilmente un lavoro.  Lo aveva trovato,  come O.S., nella zona di residenza coniugale. Sopraggiunte le difficoltà di convivenza con il marito - che aveva già programmato la propria vita con altre donne, anche contemporaneamente - e che con la richiesta di separazione da parte della moglie - che non accettava il ruolo di favorita in un harem tutto privato - il coniuge si rifiutava di contribuire al pagamento della baby-sitter che assorbiva tutto il suo stipendio.

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Venerdì 18 Settembre 2015 15:04

Alla Procura della Repubblica di Terni

Riaffermata l’innocenza di un padre

 

La Procura della Repubblica di Terni ha fatto chiarezza nei confronti di un padre denunciato dalla ex-compagna per maltrattamenti e violenza nei suoi confronti e nei confronti del loro figlioletto, indicando alcune persone a lei vicine come testimoni. I carabinieri del luogo, dopo aver svolto le dovute indagini e dopo aver sentito i testimoni indicati dalla straniera hanno constatato la infondatezza delle sue accuse. La sera del suo allontanamento con il figlio dalla casa del compagno la signora aveva fatto intervenire una pattuglia dei carabinieri riferendo agli stessi di non aver subito nessuna violenza da parte del compagno che, pur di far restare il figlio a casa con la madre, le proponeva di andarsene lui. La signora, con la stessa accusa, si era rivolta al tribunale dei minori di Perugia per richiedere la immediata decadenza della responsabilità genitoriale paterna e al tribunale civile ternano per richiedere l’affido esclusivo del figlio di due anni ed un assegno di mantenimento sproporzionato rispetto al reddito del padre dipendente di una azienda agricola.

Il PM, dott.ssa Elisabetta Massini, analizzati gli atti, avanzò la richiesta di archiviazione, impugnata successivamente dal legale della signora, e martedì 14 c.m. il Gip, dott. Angelo Socci, dopo l’udienza, ha emesso la sentenza di archiviazione definitiva della denuncia poiché i fatti non erano supportati dalla necessaria veridicità, avendo tutti i testi sentiti escluso l’indole violenta dell’uomo ed avevano evidenziato, al contrario,  che era proprio lei a maltrattare in pubblico il compagno e il figlioletto e ad essere violenta verso di lui. L’uomo era ed è difeso dall’avv. Gabrio Giannini e dall’avv. s. Francesco Valentini.

La signora, ai primi di dicembre del 2014, si era allontanata dalla casa familiare col figlio dopo aver concordato con  un centro antiviolenza ternano la sua accoglienza prima ad Orvieto in una struttura protetta – a loro collegata -  e poi presso una loro struttura a Terni, ovviamente a spese (centinaia di euro al giorno) dei cittadini italiani e senza il pur minimo controllo delle istituzioni.

I servizi sociali di Orvieto fin dall’inizio hanno sposato la versione della signora, restando indifferenti alle ragioni del padre convalidate dalle testimonianze e dai preoccupanti atti giudiziari presenti nel fascicolo, da loro conosciuti. Hanno sempre negato al padre il diritto di sapere dove si trovasse il figlio. Solo dopo sei mesi è venuto a conoscenza in quale città si trovasse il figlio e gli è stato concesso di poterlo rivedere in modalità protetta in un angusto ambiente di pochi metri per 90 minuti alla settimana in presenza di una educatrice ed altra persona del centro che gli vietava perfino di portare regali al figlio, di fargli una foto col cellulare per farla vedere all’anziana nonna, di parlargli a bassa voce;  fu accusato “di comprare” il figlio perché gli stava per dare una caramella!  Una vera e propria persecuzione da struttura che non ne aveva titolo e che operava senza nessun protocollo di intesa a garanzia di trasparenza e oggettività. Il centro imponeva alle strutture comunali di riferimento una costosa videoregistrazione per ogni incontro.

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Giovedì 10 Settembre 2015 18:08

Così è, se vi pare.


Madre e figlia ostaggi del Tribunale di Monza

 

Una madre, sposata con un milanese, nell’ottobre 2013 chiede la separazione per le continue vessazioni a cui è sottoposta dalla suocera nell’indifferenza del marito. Inizia l’iter al tribunale di Monza e il giudice delegato all’udienza presidenziale - gennaio 2014 - predispone una Ctu sulle capacità genitoriali dei coniugi e sulla madre accusata dal marito di  essere depressa ed incapace di educare la figlia di appena quattro anni per stabilire presso quale genitore collocarla.

Dopo molti mesi arriva la relazione della Ctu nella quale sono contenute valutazioni e prescrizioni di terapie mediche alla madre che la stessa Ctu, essendo psicoterapeuta, non poteva fare per illegittimità professionale, mentre taceva sul fatto che la suocera da anni faceva uso abituale di antidepressivi ed era seguita da una psicolog a (amica della Ctu) presso cui andava da anni anche il figlio! Una relazione piena di contraddizioni, ovvietà ed asserzioni scientificamente non confermate.

Il giudice delegato esalta la relazione per la sua “oggettività” e, prendendo alla lettera tutto ciò che la sbrigativa psicologa affermava e stabiliva nell’affidare la figlia non ai genitori ma ai servizi sociali del comune in cui i coniugi abitavano e di collocarla presso la madre, obbligando la stessa ad abitare in quella città, nonostante la signora fosse rimasta da mesi senza lavoro, mentre nella zona di Firenze aveva la possibilità di lavorare a tempo pieno ed indeterminato.

La solerte giudice – inaudito perché non poteva farlo – impone alla sola madre di sottoporsi a psico-terapia e - senza richiedere ai coniugi i Cud-730 del triennio precedente, come legge vuole - stabilisce  che il marito versi un mantenimento per la bambina di 350 euro e 200 per la madre  senza lavoro. Giustifica questa decisione con il fatto che il marito aveva uno stipendio di milleseicento euro ma per sole 12 mensilità e che era gravato di un mutuo di €.500,00 su una nuova casa acquistata da sua madre ma a lui intestata dove di fatto viveva la madre con il suo amante prima ed ora con il figlio. Il mutuo era pagato esclusivamente e puntualmente dalla madre (bastava guarda i movimenti del suo c/c). Il figlio, inoltre, prendeva 14 mensilità, aveva trasferte e premi di produzione, gestiva anche mostre e ferie della ditta in cui lavorava e percepiva anche gli assegni familiari per moglie e figlia, otre ad avere la detrazione per figli a carico. Tutte queste cose sarebbero state constatate nelle buste paga, se il giudice le avesse richieste, come suo dovere.

La madre doveva vivere in quella città milanese, nelle vecchia casa della suocera e doveva sostenere  i costi delle bollette e del condominio per oltre duecento euro al mese. Di fatto questa madre è stata costretta dal tribunale a vivere, lei e figlia, con sole 350 euro al mese in un paese che non le garantiva il lavoro e non poteva ritrasferirsi vicino a Firenze dove era vissuta con i propri genitori, dove aveva lavorato e dove aveva tante possibilità di lavoro e dove poteva essere aiutata dai suoi genitori che l’ospitavano e che provvedevano alla bambina quando lei era al lavoro.

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Giovedì 03 Settembre 2015 18:10

Come ha ragionato il GIP del Tribunale di Imperia in una vicenda che investe i Servizi sociali del comune di Bordighera

Il reato di abuso di ufficio

secondo il Gip di Imperia (o Gorizia?)

 

Avv. Gerardo Spira*

Il caso

In seguito a separazione di una coppia convivente (francese lei ed italiano lui), il giudice del tribunale  per i minorenni di Genova nel 2006 dispone l'affidamento condiviso, la collocazione della minore presso il padre, sottoponendo gli incontri madre-figlia alla supervisione dei servizi sociali del comune di residenza della minore.

Nel 2011, la figlia racconta alla madre e alle sue amiche di fatti che portano ad un procedimento penale contro il padre.

A seguito della denuncia, il tribunale di Genova sospende il diritto di visita della madre e dispone incontri protetti con frequenza quindicinale tra madre e figlia alla presenza di una educatrice

Il provvedimento del Giudice di Genova, ictu oculi appare subito carente della specificazione delle modalità degli incontri e dei luoghi.

Pur in assenza di  apposita normativa la giurisprudenza, sulla scorta dell'orientamento della scienza del settore, ha fissato  comunque nel tempo le linee generali di riferimento per tribunali e servizi sociali.

Gli incontri potetti vanno specificati con programmi previsti in appositi documenti partecipati ai soggetti interessati per il rispetto del principio del contraddittorio, con l'indicazione del luogo  neutro, idoneo allo scopo, per garantire la serenità delle frequentazioni e l'imparzialità nei confronti di entrambe le parti.

L'educatrice presente agli incontri deve possedere i requisiti specifici  previsti dalla legge e non trovarsi in condizioni di incompatibilità ambientale.

Di tutto ciò deve essere dato atto  in apposito verbale per la verifica di legittimità del procedimento  sia dalle parti che dal  Tribunale.

Gli incontri, nel caso in esame, secondo quanto riferito dalle assistenti sociali del Comune di Bordighera, confermato dal GIP  di Imperia in una prima fase avvengono in una saletta dei servizi del Comune, spazio destinato ed attrezzato ad ufficio e successivamente in uno spazio ricavato dalla divisione dello spogliatoio della polizia municipale.

Durante gli incontri si verificano fatti che incidono sulla serenità degli stessi, sulla imparzialità del comportamento dei servizi sociali che non danno seguito alle segnalazioni scritte dell’educatrice e  quindi sul buon andamento amministrativo dell'intera azione.

La madre, sottoposta al percorso protetto, rileva le irregolarità e  ne parla con il proprio legale di fiducia.

Questi esaminata la questione rileva gli estremi per una querela per abuso di ufficio nei confronti di più soggetti, intervenuti, tutti incaricati di funzioni pubbliche che avrebbero scientemente partecipato per danneggiare la madre e per violazione della privacy.

Il Pm  del Tribunale di Imperia apre  il fascicolo contro ignoti (nonostante fossero indicati i nomi dei protagonisti) per i reati denunciati.

Dopo poche settimane dalla presentazione della denuncia, il PM  conclude con la richiesta di archiviazione  contro ignoti per il reato di abuso, mentre per il reato di violazione della privacy era stata formulata la proposta di archiviazione nell'ambito di altro procedimento penale, subito contestata dalla querelante.

 

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Giovedì 09 Luglio 2015 09:27

Abusi sui minori - Aosta 27 giugno 2015

 

A garanzia del giusto e primario rispetto della persona del minore


PROTOCOLLO D’INTESA UNICO NAZIONALE

per porre fine ad interventi contrastanti e discriminatori

Avv. Gerardo Spira *

 

Il tema del convegno è l'argomento ricorrente nelle questioni famiglia di oggi. Si ricorre ai Tribunali per cercare la risposta a condizioni di rischio e di sofferenza per i minori. Si ricorre alla giurisdizione minorile quando il rischio si è già materializzato o comunque è entrato in una condizione di elevata probabilità.

Si ricorre al Tribunale per ottenere la risposta favorevole alle ragioni che già hanno contribuito a determinare il pregiudizio al minore. Tutto ciò che avviene dopo ricade nella responsabilità degli attori della vicenda: operatori socio-sanitari, genitori; difensori, periti e magistrati. Tutti mancano di agire in via preventiva per anticipare il pregiudizio.

La maggior parte della scienza tenta ad escludere la colpa dell'intervento giudiziale, ritenendolo una condizione tesa ad evitare il danno.

Ritengo, invece, che l'intervento giudiziale, nell'interpretazione della norma (sul pregiudizio) non dia completezza ai valori costituzionali dei diritti dell'uomo come persona nel contesto sociale. Prevenire il rischio è compito di tutti i soggetti istituzionali che agiscono nel campo minorile e prima di tutti: l'Autorità giudiziaria.

I diritti fondamentali dell'uomo, sanciti in tutte le carte internazionali e nazionali non si prestano ad interpretazioni, perché ognuno di noi, ed in qualsiasi ruolo, li avverte nella sensibilità umana. Essi sono sentimenti e valori, prima di esplicitarsi nelle cose.

I tribunali sono stati istituiti per discutere dei diritti sostanziali dell'uomo e della persona e non di sentimenti. Quando si affida la decisione alle ragioni del cuore, il giudice non è più tale, la giurisdizione non esiste.

Le conseguenze della fine del rapporto fra genitori sono note tanto nel costume umano che nelle discipline psicosociali.

Quando compaiono i primi sintomi di discussione sulla separazione ricorre un'affermazione assunta usualmente: "il figlio di quella coppia è agitato".

Comincia in questo momento la violenza.

 

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Giovedì 09 Luglio 2015 09:20

Abusi sui minori - Aosta, 27 giugno 2015

 

Voltare pagina


di Ubaldo Valentini*

La presentazione dell’interessante libro dell’avv. Caterina Grillone “Gli abusi sui minori. Il bambino, quando occorre, sa chiedere aiuto ... Ascoltalo!”, tenutasi ad Aosta il 27 giugno scorso,

ha costituito una rinnovata occasione per denunciare un sistema giudiziario e di pubblica assistenza sociale che, di fatto, non tutela i minori ma che troppo spesso, basandosi su un errato buon senso, finisce per creare solo discriminazioni nei confronti dei minori ed alimentare la discordia tra i loro genitori.

Accanto alla critica spietata delle attuali disfunzioni istituzionali, i relatori che si sono susseguiti hanno avanzato concrete proposte operative per  correggere e sopprimere tutte quelle anomalie che caratterizzano il variegato mondo dei figli dei separati e dei divorziati e per combattere la disumana prassi degli abusi sui minori che, è stato sottolineato, non possono essere relegati alla sola sfera fisica dimenticando la dimensione psicologica che, appunto, nei provvedimenti dei giudici e nelle valutazioni dei servizi sociali è abitualmente abusata.

Alcuni tribunali italiani cercano di porre rimedio ad una carenza legislativa nazionale sui diritti dei minori e sugli abusi psicologici alimentati, nell’indifferenza dei più, da provvedimenti discriminatori e, spesso, addirittura iniqui. Si incomincia a parlare di Protocolli tra le istituzioni che si occupano dei minori per garantire trasparenza, responsabilità, oggettività e pari opportunità genitoriali nei provvedimenti stessi e negli interventi dei servizi sociali, con modalità e tempi certi e vincolanti per tutti: giudici, servizi sociali, la miriade di operatori sociosanitari che dal business minori e separazioni ne traggono benefici talvolta anche sulla pelle dei minori stessi e i genitori che i figli, nella maggior parte dei casi, li conoscono bene. In definitiva, si cerca di ridare senso alle istituzioni stesse e, temporaneamente, supplire una politica che all’essere ha sostituito l’apparire.

 

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Giovedì 09 Luglio 2015 09:15

Per paura di pagare di persona in caso di errore, a Treviso

Il giudice Vettoruzzo non emette la sentenza

e rimette la questione alla Corte Costituzionale

 

di avv. Gerardo Spira

Ponzio Pilato lo fece con Cristo, ma in quel caso vi era la vita di una persona per lo mezzo e forse la coscienza, Vettoruzzo lo ha fatto perché di mezzo vi era la sua tasca. Meno male, ora può continuare a decidere più serenamente, perché  ha passato la palla alla Corte Costituzionale.

Il caso è accaduto nella giurisdizione di Treviso e  riguarda un locatario di un capannone nel quale sono stati rinvenuti 47 quintali di sigarette di contrabbando.

Dal dibattimento sulla questione sono emersi solo elementi indiziari, la cui valutazione ha messo in allarme il magistrato il quale per paura di sbagliare e di cadere nella trappola della nuova normativa sulla responsabilità civile del giudice, in caso di errore, ha trovato, attraverso un contorto ragionamento interpretativo, la via per interpellare la Corte Costituzionale sulla legittimità della norma “ lamentata”.

Ormai tutti sanno che la nuova legge sulla responsabilità civile del magistrato consente alla Stato, in caso di errore, di rivalersi sul giudice che ha sbagliato per chiedere la restituzione delle somme sborsate per danno.

Sarà stata questa eventualità a terrorizzare Vettoruzzo che avvolto dal dubbio amletico ha preferito  sospendere la decisione e  rimettere la questione alla Consulta.

E' una questione di effettiva sostanza giuridica o la paura di dover rispondere con il portafoglio?

Vettoruzzo ha fatto il passaggio, ben cosciente di farlo, come colui che di fronte ad un fosso, non lo salta sapendo di farcela.

La decisione di quel magistrato è molto grave per un sistema fondato sulla responsabilità di quanti tutti i giorni agiscono e decidono in nome e per conto delle Istituzioni.

Vettoruzzo è agitato non per il fatto di commettere un errore, ma per la eventualità di dover pagare di tasca propria.

Prima della legge sulla responsabilità civile della magistratura, Vettoruzzo non ha mai sentito in coscienza se poteva rovinare la vita ad un cittadino con la sua decisione. Allora la sua coscienza dormiva sonni tranquilli perché non minacciata dalla paura di dover pagare per un errore giudiziario.

Eppure anche prima la norma sull'Ordinamento Giudiziario prevedeva la possibilità di aprire il contenzioso in danno, nel caso di errori. E di errori ve ne sono stati tanti, tutti pagati dallo Stato “pantalone”, o meglio dai cittadini, tra cui anche la vittima risarcita.

Prima però le Istituzioni erano controllate dagli amici ai livelli alti, per cui tutti operavano secondo l'affermato principio di indipendenza e di autonomia.

Ora invece il palazzo comincia a vacillare, i cittadini sono cresciuti e cominciano a farsi sentire pretendendo giustamente che chi vuole mangiare il pane dello Stato deve farlo con la responsabilità personale. L'indipendenza e l'autonomia riguardano l'organizzazione  del sistema giustizia e questa nessuno vuole toccarla. Il sistema organizzativo non c'entra con la decisione che si fonda esclusivamente  sulla capacità e sulla preparazione del magistrato.

Intanto, mentre la Corte deciderà sul caso, Vettoruzzo non si è autosospeso, continuerà a percepire lo stipendio e probabilmente a mietere vittime.

 
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