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Giovedì 09 Luglio 2015 09:27

Abusi sui minori - Aosta 27 giugno 2015

 

A garanzia del giusto e primario rispetto della persona del minore


PROTOCOLLO D’INTESA UNICO NAZIONALE

per porre fine ad interventi contrastanti e discriminatori

Avv. Gerardo Spira *

 

Il tema del convegno è l'argomento ricorrente nelle questioni famiglia di oggi. Si ricorre ai Tribunali per cercare la risposta a condizioni di rischio e di sofferenza per i minori. Si ricorre alla giurisdizione minorile quando il rischio si è già materializzato o comunque è entrato in una condizione di elevata probabilità.

Si ricorre al Tribunale per ottenere la risposta favorevole alle ragioni che già hanno contribuito a determinare il pregiudizio al minore. Tutto ciò che avviene dopo ricade nella responsabilità degli attori della vicenda: operatori socio-sanitari, genitori; difensori, periti e magistrati. Tutti mancano di agire in via preventiva per anticipare il pregiudizio.

La maggior parte della scienza tenta ad escludere la colpa dell'intervento giudiziale, ritenendolo una condizione tesa ad evitare il danno.

Ritengo, invece, che l'intervento giudiziale, nell'interpretazione della norma (sul pregiudizio) non dia completezza ai valori costituzionali dei diritti dell'uomo come persona nel contesto sociale. Prevenire il rischio è compito di tutti i soggetti istituzionali che agiscono nel campo minorile e prima di tutti: l'Autorità giudiziaria.

I diritti fondamentali dell'uomo, sanciti in tutte le carte internazionali e nazionali non si prestano ad interpretazioni, perché ognuno di noi, ed in qualsiasi ruolo, li avverte nella sensibilità umana. Essi sono sentimenti e valori, prima di esplicitarsi nelle cose.

I tribunali sono stati istituiti per discutere dei diritti sostanziali dell'uomo e della persona e non di sentimenti. Quando si affida la decisione alle ragioni del cuore, il giudice non è più tale, la giurisdizione non esiste.

Le conseguenze della fine del rapporto fra genitori sono note tanto nel costume umano che nelle discipline psicosociali.

Quando compaiono i primi sintomi di discussione sulla separazione ricorre un'affermazione assunta usualmente: "il figlio di quella coppia è agitato".

Comincia in questo momento la violenza.

 

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Giovedì 09 Luglio 2015 09:20

Abusi sui minori - Aosta, 27 giugno 2015

 

Voltare pagina


di Ubaldo Valentini*

La presentazione dell’interessante libro dell’avv. Caterina Grillone “Gli abusi sui minori. Il bambino, quando occorre, sa chiedere aiuto ... Ascoltalo!”, tenutasi ad Aosta il 27 giugno scorso,

ha costituito una rinnovata occasione per denunciare un sistema giudiziario e di pubblica assistenza sociale che, di fatto, non tutela i minori ma che troppo spesso, basandosi su un errato buon senso, finisce per creare solo discriminazioni nei confronti dei minori ed alimentare la discordia tra i loro genitori.

Accanto alla critica spietata delle attuali disfunzioni istituzionali, i relatori che si sono susseguiti hanno avanzato concrete proposte operative per  correggere e sopprimere tutte quelle anomalie che caratterizzano il variegato mondo dei figli dei separati e dei divorziati e per combattere la disumana prassi degli abusi sui minori che, è stato sottolineato, non possono essere relegati alla sola sfera fisica dimenticando la dimensione psicologica che, appunto, nei provvedimenti dei giudici e nelle valutazioni dei servizi sociali è abitualmente abusata.

Alcuni tribunali italiani cercano di porre rimedio ad una carenza legislativa nazionale sui diritti dei minori e sugli abusi psicologici alimentati, nell’indifferenza dei più, da provvedimenti discriminatori e, spesso, addirittura iniqui. Si incomincia a parlare di Protocolli tra le istituzioni che si occupano dei minori per garantire trasparenza, responsabilità, oggettività e pari opportunità genitoriali nei provvedimenti stessi e negli interventi dei servizi sociali, con modalità e tempi certi e vincolanti per tutti: giudici, servizi sociali, la miriade di operatori sociosanitari che dal business minori e separazioni ne traggono benefici talvolta anche sulla pelle dei minori stessi e i genitori che i figli, nella maggior parte dei casi, li conoscono bene. In definitiva, si cerca di ridare senso alle istituzioni stesse e, temporaneamente, supplire una politica che all’essere ha sostituito l’apparire.

 

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Giovedì 09 Luglio 2015 09:15

Per paura di pagare di persona in caso di errore, a Treviso

Il giudice Vettoruzzo non emette la sentenza

e rimette la questione alla Corte Costituzionale

 

di avv. Gerardo Spira

Ponzio Pilato lo fece con Cristo, ma in quel caso vi era la vita di una persona per lo mezzo e forse la coscienza, Vettoruzzo lo ha fatto perché di mezzo vi era la sua tasca. Meno male, ora può continuare a decidere più serenamente, perché  ha passato la palla alla Corte Costituzionale.

Il caso è accaduto nella giurisdizione di Treviso e  riguarda un locatario di un capannone nel quale sono stati rinvenuti 47 quintali di sigarette di contrabbando.

Dal dibattimento sulla questione sono emersi solo elementi indiziari, la cui valutazione ha messo in allarme il magistrato il quale per paura di sbagliare e di cadere nella trappola della nuova normativa sulla responsabilità civile del giudice, in caso di errore, ha trovato, attraverso un contorto ragionamento interpretativo, la via per interpellare la Corte Costituzionale sulla legittimità della norma “ lamentata”.

Ormai tutti sanno che la nuova legge sulla responsabilità civile del magistrato consente alla Stato, in caso di errore, di rivalersi sul giudice che ha sbagliato per chiedere la restituzione delle somme sborsate per danno.

Sarà stata questa eventualità a terrorizzare Vettoruzzo che avvolto dal dubbio amletico ha preferito  sospendere la decisione e  rimettere la questione alla Consulta.

E' una questione di effettiva sostanza giuridica o la paura di dover rispondere con il portafoglio?

Vettoruzzo ha fatto il passaggio, ben cosciente di farlo, come colui che di fronte ad un fosso, non lo salta sapendo di farcela.

La decisione di quel magistrato è molto grave per un sistema fondato sulla responsabilità di quanti tutti i giorni agiscono e decidono in nome e per conto delle Istituzioni.

Vettoruzzo è agitato non per il fatto di commettere un errore, ma per la eventualità di dover pagare di tasca propria.

Prima della legge sulla responsabilità civile della magistratura, Vettoruzzo non ha mai sentito in coscienza se poteva rovinare la vita ad un cittadino con la sua decisione. Allora la sua coscienza dormiva sonni tranquilli perché non minacciata dalla paura di dover pagare per un errore giudiziario.

Eppure anche prima la norma sull'Ordinamento Giudiziario prevedeva la possibilità di aprire il contenzioso in danno, nel caso di errori. E di errori ve ne sono stati tanti, tutti pagati dallo Stato “pantalone”, o meglio dai cittadini, tra cui anche la vittima risarcita.

Prima però le Istituzioni erano controllate dagli amici ai livelli alti, per cui tutti operavano secondo l'affermato principio di indipendenza e di autonomia.

Ora invece il palazzo comincia a vacillare, i cittadini sono cresciuti e cominciano a farsi sentire pretendendo giustamente che chi vuole mangiare il pane dello Stato deve farlo con la responsabilità personale. L'indipendenza e l'autonomia riguardano l'organizzazione  del sistema giustizia e questa nessuno vuole toccarla. Il sistema organizzativo non c'entra con la decisione che si fonda esclusivamente  sulla capacità e sulla preparazione del magistrato.

Intanto, mentre la Corte deciderà sul caso, Vettoruzzo non si è autosospeso, continuerà a percepire lo stipendio e probabilmente a mietere vittime.

 
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Mercoledì 17 Giugno 2015 18:43

 
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Venerdì 05 Giugno 2015 18:26

Parola della Cassazione

 

Pretendere informazioni sui propri figli

non costituisce reato di molestia e persecuzione

Avv. s. Francesco Valentini


Una importante sentenza della cassazione (I sez. Penale, sent. 13 – 27 maggio 2015, n. 22152 - presidente Giordano – relatore Centonze) con cui si annulla una condanna ad un padre che, dinnanzi agli ostacoli posti in essere dalla madre per farlo stare col figlio minore, cercava di mettersi in contatto con la madre affidataria per poter esercitare il suo diritto alla genitorialità.

La Cassazione, con questa decisione, incomincia ad entrare nel difficile mondo dei figli con genitori non più conviventi, affrontando le criticità del diritto di visita del genitore non collocatario e della tutela, ad ogni livello, della bigenitorialità; diritti, questi, troppo spesso negati e delitti verso i minori e verso il genitore estromesso tacitamente tollerati dalle istituzioni.

I giudici di via Cavour hanno puntualizzato che pretendere il rispetto dei propri diritti di genitore non costituisce molestia ed implicitamente hanno condannato una madre che sistematicamente cercava di estromettere il padre dalla vita del proprio figlio.

Se i tribunali fossero più intransigenti verso tutti quei genitori affidatari che si approfittano della loro presenza continuata con i figli – e pertanto psicologicamente influente – per provocare in loro un rifiuto del genitore non convivente con loro, esisterebbe sicuramente meno conflittualità e maggior rispetto della bigenitorialità. Questo atteggiamento di netta chiusura nei confronti di uno dei due genitori espone i figli al rischio della nota Pas (sindrome da alienazione parentale) le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti anche se troppo spesso sono sottovalutate dai tribunali e dai servizi sociali.

Ma torniamo alla sentenza.

Il genitore che telefona insistentemente all’affidatario dei suoi figli per avere informazioni su di loro, sostiene la Suprema Corte di Cassazione, non commette il reato di “molestie e disturbo alla persona” (art. 660 cp.) nè tantomeno “atti persecutori” (art.612 bis cp.), perché le telefonate non sono “finalizzate a creare disagi o molestie all’ex convivente, ma esclusivamente ad avere notizie del figlio minore, allo scopo di poterlo incontrare, esercitando in tal modo i propri diritti di genitore”.

La madre, pertanto, non può accusarlo di procurarle“pressioni psicologiche da parte dell’imputato, le cui richieste riguardavano solo la gestione dei suo rapporto con il figlio minore”.

I comportamenti contestati al padre, secondo la Suprema Corte, dovevano essere analizzati dal tribunale di merito di Milano, senza entrare nel merito della loro opportunità, se avessero avuto i connotati di petulanza e se hanno interferito sgradevolmente “nella sfera della quiete e della libertà della persona”. Fatto questo insussistente per i giudici romani perché i fatti denunciati dalla madre “risultavano collegati all’esercizio del diritto di visita del figlio minore che l’imputato riteneva ostacolato in modo prevaricatore della sua ex convivente” .

Non è stato tenuto in alcun conto che la madre, inosservante dei decreti del tribunale dei minori, “sovente non consentiva all’imputato di vedere il bambino, ovvero frapponeva ostacoli alla già difficoltosa condizione del padre ovvero ancora esigeva che gli incontri tra padre e figlio avvenissero in presenza sua o di suoi familiari».

Non esistevano gli elementi probanti una specifica volontà persecutoria dell’ex convivente e pertanto occorreva una “interpretazione alternativa dei fatti in contestazione, finalizzata a collegare le condotte del padre non già all’intento di creare una situazione di disagio all’ex convivente, ma a esercitare i propri diritti di genitore ostacolati dalla madre affidataria.

 

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Martedì 19 Maggio 2015 18:37
Il ruolo di tribunali e servizi sociali
Il ruolo di tribunali e servizi sociali
Il ruolo di tribunali e servizi sociali
Il ruolo di tribunali e servizi sociali

da L'Indro del 13 maggio 2015

Il ruolo di tribunali e servizi sociali

Separazioni: tutelare i minori


Ubaldo Valentini: 'La politica non disegna il futuro dei cittadini ma salvaguarda solo se stessa'

 

Prevenire le conseguenze negative di una separazione matrimoniale potrebbe essere la soluzione di un Paese civile che vuole tutelare i minori vittime di pesanti disagi, a danno della loro formazione educativa e culturale. La politica italiana, se continua a togliere risorse finanziarie al welfare, non può pensare seriamente al bene dei bambini. Il rischio di forti squilibri sociali nei giovani, causati da una cattiva educazione e da una pessima formazione, perché vittime di una separazione dei genitori, può proiettarsi nella società del futuro.

Il divorzio breve, approvato di recente, è solo un provvedimento studiato e pensato per i genitori, perché nella legge manca un chiaro passaggio a beneficio dei minori. Nel testo normativo non c’è la parte dedicata alle conseguenze subite dai figli. Sarebbe semplice inserire l’obbligo dei genitori separati di essere affidati ai Servizi sociali per constatare la salute psichica dei propri figli. Non è difficile scrivere una riga al testo normativo, serve solo la volontà politica. Ancora. Sarebbe auspicabile inserire l’obbligo di frequentare un percorso di sostegno alla genitorialità per genitori separati. Gli scenari sociali sui quali far confluire una determinata situazione per prevenire derive sociali sono molteplici e variegati. C’è l’urgente bisogno di intervenire su materie fondamentali come l’educazione e la formazione dei bambini per prevenire situazioni a rischio.

Se funzionassero veramente le case famiglia“, commenta Paola Vaccari, Presidente della Commissione delle Elette e Pari Opportunità del Municipio IX di Roma, “sarebbero le uniche soluzioni per accogliere adeguatamente i minori; purtroppo, a volte, anche queste si sono distinte per inefficienza con il solo scopo di essere una macchina per fare soldi. Una soluzione potrebbe essere quella, forse la più semplice ma la meno applicata, dell’ascolto. I giudici che hanno in carico queste cause di separazione dovrebbero avere l’accortezza di ascoltare le loro testimonianze, ovviamente con personale competente. Ascoltare le loro richieste e capire le loro esigenze potrebbe essere molto meglio. Nella stragrande maggioranza dei casi si troverebbe per i minori la migliore soluzione. Ma forse questa è solo fantascienza, perché i tribunali e i giudici sono troppo collassati dall’enormità di cause infinite. Spero che la nuova legge sulle separazioni, contraddistinta da una forte diminuzione dei tempi, riesca a superare oltre alle lungaggini anche le agonie sottoposte ai minori in attesa della sentenza, attenuando le acredini tra i coniugi“.

Con Ubaldo Valentini, Presidente, ideatore e cofondatore dell’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori, impegnato dal 1998 a conoscere le problematiche legate ai minori nelle separazioni, compreso il ruolo del genitore reso più debole dalle Istituzioni, vogliamo conoscere la situazione sociale e politica relativa al minore, troppo spesso abbandonato dalla società e dalla politica.

La politica investe poche risorse finanziarie sui minori vittime della separazione. Perché?

Si investono poche risorse finanziarie sui minori con genitori non più conviventi perché la politica non ha una particolare attenzione verso i bambini in genere, mentre preferisce occuparsi delle loro problematiche solo quando queste si manifestano come una pericolosa emergenza per la credibilità della stessa politica. I minori non producono e non votano e ciò condiziona le scelte politiche, le quali non sempre mettono al centro della progettazione sociale i bambini di oggi che saranno i fautori della società di domani, cioè del nostro futuro. Manca, di fatto, la politica della quotidianità propositiva e la cultura del rispetto del minore come persona, con esigenze ed aspettative degne di attenzione al pari di quelle dell’adulto. Il minore, purtroppo, viene sacrificato alle esigenze dell’adulto, cioè di colui che amministra le risorse umane e finanziarie, ritenendo non impellenti le esigenze di coloro che hanno tanto tempo davanti a sé e che pertanto, loro, possono aspettare. Gli stessi genitori, nelle separazioni, troppo spesso utilizzano i minori per interessi trasversali contro l’altro genitore, aiutati da legali e da servizi sociali accondiscendenti.

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Martedì 19 Maggio 2015 18:31

Il Bullismo: le responsabilità delle istituzioni

avv. Gerardo Spira

 

Corretta riflessione, quella del dott. Maurizio Bartolucci (espressa nell’articolo di seguito riportato) per quanto riguarda l’analisi, l’ambiente e il mondo che oggi circonda la vita del minore.

Dove esiste la famiglia, un padre ed una madre che si rapportano ai valori ed ai principi ancora cardini della società, le responsabilità vanno addebitate soprattutto ai genitori, ma dove la famiglia è finita nella cultura della separazione o del divorzio le responsabilità vanno addebitate alle istituzioni coinvolte e alla giustizia minorile che insistono per gli affidamenti condizionati e limitati o addirittura con affidamenti esclusivi, impedendo ad un genitore di adempiere agli obblighi di cui all’art. 30 della Costituzione e art. 147 del c.c. La sottrazione disposta con la solita formula ed in nome della legge è il momento in cui comincia il disastro della vita del minore...

 

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Venerdì 08 Maggio 2015 09:07

incredibile ma vero!

Centri antiviolenza per le madri

e/o violenza legalizzata sui padri?

 

di Ubaldo Valentini *

Occorre premettere che la violenza  non ha ragione d’esistere in nessun caso e che deve essere combattuta con tutti i mezzi. Ciò, però, non ci esime dal sottolineare che la violenza spesso viene invocata a sproposito e che dietro a certe battaglie si nascondono interessi non sempre solari. La violenza fisica è con maggior frequenza di genere ma non va sottovalutata quella psicologica, sociale, culturale che l’alimenta o che – come troppo spesso avviene – la subisce l’uomo e per questo troppi contesti sociali continuano a negala.

Il binomio che vuole la donna sempre vittima e l’uomo sempre carnefice è fuorviante.

 

Il fatto

Un uomo, divorziato e con un figlio maggiorenne cresciuto in collaborazione con la madre, diviene nuovamente padre a seguito di una relazione con una straniera. Solo ora viene a sapere che questa donna era stata “deferita all’autorità giudiziaria per molestie e disturbi alle persone, per stupefacenti ed era stata denunciata per lesioni personali e per violazione di domicilio a scopo di furto” e, a causa della sua “pericolosità sociale” gli veniva negato il permesso di soggiorno.

La nascita di un figlio in Italia le aveva assicurato il permesso di soggiorno pur restando in piedi tutti i provvedimenti giudiziari. Da quel momento, lei, aveva risolto i propri problemi di soggiorno e pensò bene di far fruttare economicamente la nascita di un figlio concepito con un uomo italiano.

Ha incominciato a contestare la convivenza, a rendere impossibile la vita al compagno, a rifiutare il lavoro  e a trascorrere gran parte del giorno al bar. Ma non si era fermata a ciò. Lo offendeva continuamente anche in presenza degli amici, lo accusava di essere sempre ubriaco (perché una volta, dopo una cena con amici, era risultato positivo al test etilico) e di essere un cocainomane (circa trent’anni fa un coetaneo  con  problemi di droga aveva riferito alle forze dell’ordine che lui, giovanissimo, gli aveva fornito uno spinello. Fu indagato e assolto perché estraneo ai fatti).

Col passare dei mesi la signora intensificò le aggressioni verbali e non solo contro il compagno, chiedendo continuamente soldi a tutti per inviarli, a suo dire, alla madre malata, incominciò  a chiamare continuamente i carabinieri per ogni discussione con il padre di suo figlio che, la sera, al rientro dal lavoro chiedeva informazioni sul bambino. Arrivò ad accusarlo di violenza e stalking su di lei e sul figlio stesso, di maltrattalo mentre, in realtà, il piccolo era legatissimo al padre che, nel tempo libero, stava sempre con lui.

Nelle denunce ha indicato una serie di testimoni suoi amici che, interrogati dai carabinieri, hanno messo in evidenza la pazienza del compagno, le sue capacità genitoriali ed invece hanno evidenziato il carattere difficile e violento della signora che l’umiliava ed offendeva continuamente e senza alcun motivo, che era sempre alla ricerca di soldi tra i conoscenti e i parenti dell’uomo. Arrivò a chiedere soldi anche su internet.

Gli stessi carabinieri hanno segnalato alla Procura della Repubblica competente che quanto denunciato dalla signora era in netto contrasto con quanto affermato dai testimoni da lei indicati che, al contrario, negavano la violenza del compagno che, secondo loro, era la vera vittima del comportamento della signora.

Una bella sera la signora ha chiamato i carabinieri per presunte violenze del compagno ed ha dichiarato che voleva andarsene da casa con il figlio per andare a vivere altrove, nonostante il compagno le avesse prospettato, dinnanzi alle forze dell’ordine, di restare lei in casa perché se ne sarebbe andato lui.  In realtà era già pronta l’amica della signora – anch’essa con problemi con la giustizia – che li ha prelevati per portarli a dormire a casa sua.

Il giorno dopo si è rivolta ad un centro antiviolenza per chiedere protezione e ad una casa protetta in un comune vicino per essere ospitata. Il genitore solo ora è venuto a conoscenza dove si trovi suo figlio che da oltre cinque mesi non vede e non sente. Il bambino ora ha  due anni e mezzo ed ancora non sa perché il padre – che continua disperatamente a cercare -  sia “sparito nel nulla”.

 

Il centro antiviolenza

ubicato in una grossa città umbra, è finanziato dagli enti pubblici, rientra nei progetti a difesa della donna che, a loro dire, è l’esclusiva vittima della violenza dell’uomo. Le istituzioni finanziano strutture senza il minimo riscontro oggettivo sul loro operare e sulle competenze scientifiche degli operatori. Il dinamismo – meglio sarebbe dire la interessata presunzione e il fanatismo settario e qualunquista – ha indotto la responsabile del  centro a scrivere al tribunale per i minori affinché venisse tolta al padre la responsabilità genitoriale, invitandolo a tenergli nascosta la località dell’attuale residenza della madre e del figlio e, cosa ancor più grave, chiedendo di secretare la lettera per garantire la tutela della signora e del minore.

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