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Venerdì 31 Marzo 2017 15:26

­­­­Il Tribunale di Brindisi


Ristabilisce la dignità giuridica della legge 54/2006

cancellando il collocamento prevalente


Avv. Gerardo Spira*

Sul nostro sito è stato apposto un articolo a firma dell'avv. Francesco Valentini col quale l'esimio professionista dà la notizia sulla decisione del Tribunale di Brindisi di tracciare per la prima volta e finalmente le linee guida sull'affidamento dei figli, nei casi di separazioni.

Dal profondo Sud si è spinta la novella contro la concezione convenientemente condivisa dalla cultura istituzionale di mantenere lo status quo che, tanto voluto e sostenuto, ha arricchito professioni, impoverito genitori e famiglie e determinato una generazione svantaggiata (quella dei figli).

La notizia del Tribunale di Brindisi, per iniziativa della Presidente dott.ssa Palazzo ha allarmato soprattutto qualche nota associazione che si è vista esclusa dagli incontri nell’iniziativa da cui sono scaturite le  linee  guida di comportamento.

In queste, tra l'altro (clamoroso!), risulta cancellato di fatto “il cosiddetto collocamento prevalente”.

La direttiva accolta con grande favore dagli interessati, specialmente da quelli che sono rimasti vittima in oltre dieci anni di vita della legge 54/2006, è stata invece recepita da una parte della casta forense come una pistolettata a tradimento.

Apriti cielo! E' stata

violata la serenità di qualcuno che vive ed opera in questo mondo..

Ma leggiamo quali sono gli argomenti discussi e fondanti le linee tracciate dal Tribunale di Brindisi!

-La residenza abituale del minore: questa è ritenuta - e correttamente come prescrive la legge - soltanto ai fini anagrafici. Il minore può essere domiciliato anche presso entrambi i genitori. La legge infatti detta normativa sul domicilio e sulla dimora abituale (residenza). La scelta della residenza sarà di riferimento solo al fine di stabilire la competenza del giudice.

La direttiva affronta in modo giusto il problema della partecipazione quotidiana e della frequentazione, per adeguarlo al principio del rapporto equilibrato.

-La casa familiare: Il diritto di proprietà franco e libero è salvaguardato. La casa appartiene al legittimo proprietario. In caso di proprietà comune, nella separazione si ricorre all'istituto della locazione, come termine di valore da scontare sul mantenimento in favore del genitore cedente secondo la percentuale spettante.

-Mantenimento e spese straordinarie. Viene affermato il principio del mantenimento diretto, in ragione della frequenza e della partecipazione. Ne deriva di conseguenza, per la cura e la frequenza, l'onere del versamento di eventuale somma residuale. Viene affermato il principio perequativo nel caso di genitore più abbiente rispetto all'altro.

Per le spese straordinarie viene adottato il principio di spese prevedibili e imprevedibili. Le spese prevedibili si attribuiscono ad entrambi i genitori in ragione del reddito e così anche quelle imprevedibili.

-Ascolto del minore e mediazione familiare. Il Tribunale di Brindisi decide di dare forza all'art. 315 bis c.c. Il minore ha diritto ad essere ascoltato. Alla mediazione si ricorre solo nel caso di contrasto.

Una pioggia di critiche e di censure sono cadute sulla decisione del Tribunale di Brindisi. Ciò si comprende per i forti interessi che si intrecciano nella materia, resa sempre più appetibile, non per ragioni morali, dalla contrastante giurisprudenza vagante nei Tribunali italiani. Eppure la logica del diritto deve essere la stessa sui principi della legge !

L'Aiaf, associazione di avvocati molto nota, ha sollevato questione in ordine alla legittimità delle linee sostenendo, tra l'altro, che il Giudice non può imporre un modello unico di famiglia separata. Le linee guida del Tribunale di Brindisi configurano, secondo l''AIAF, chiare violazioni di legge per alcuni aspetti e soprattutto:

a) risulta abrogato il diritto del minore a mantenere il domicilio domestico

b) il minore risulta diviso in due parti.

Riteniamo, con il dovuto rispetto per le professionalità, di non poter condividere le posizioni contrarie alla decisione del Tribunale di Brindisi per una serie di motivi di cui alcuni che più macroscopicamente rileviamo qui di seguito.

Le linee guida, per definizione giuridica, non sostituiscono certamente la legge, ma costituiscono un modello di comportamento esteso a tutti i legali operanti in quel tribunale.

La Presidente del tribunale di Brindisi poteva, come possono tutti i Presidenti dei tribunali d'Italia, adottare una direttiva senza obbligo di interpello o preferenza  di numero e qualità di associazione. Non esiste una legge specifica in materia e qualsiasi considerazione giuridica o richiamo interpretativo alla Costituzione appare impropriamente espresso, dal momento che le decisioni seguono la procedura di rito e sono soggette alle impugnative di legge.

La presidente del Tribunale di Brindisi ha avuto il coraggio, più che le tante istituzioni di difesa e di garanzia, di ribellarsi ad una situazione che da oltre dieci anni ha disattesa l'applicazione della legge 54/2006.

Un Giudice di un Tribunale di provincia ha fatto ciò che per anni non hanno fatto ordini forensi e istituzioni parificate per sollecitare l'applicazione della legge sul condiviso, in barba al principio del valore della famiglia e dei diritti dei minori. Eppure bastava bloccare i Tribunali con una protesta generale in tutto il Paese e se del caso a tempo indeterminato. Questa sì che avrebbe riscosso la fiducia della grande massa di cittadini interessati e dell'intera nazione. Invece il silenzio di comodo e di convenienza ha permesso che gli unici a pagare fossero la famiglia e la società, per dire tutti i cittadini italiani.

Ma torniamo all'argomento che pur ci interessa per l'aspetto giuridico. E' stato sostenuto che il domicilio del minore deve restare per legge quello del genitore prevalente. Niente più errato! Il principio è stato derivato dalla giurisprudenza e non dalla legge.

L'assunto, tra l'altro, non regge più nell'epoca in cui i popoli migrano e si spostano con facilità e libertà. La giustizia non può rincorrere il cittadino nei suoi repentini spostamenti, soprattutto per rispettare il famoso principio di economia processuale.

Forse si cerca questa confusione per aprire il ventaglio del contenzioso?

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Martedì 14 Marzo 2017 12:06

Importante documento del Tribunale di Brindisi


L’affido condiviso alternato dei figli


Una scelta obbligata per i tribunali

 

avv. Francesco Valentini *


Le linee guida per la sezione famiglia elaborate dal Tribunale di Brindisi è una risposta concreta alle problematiche derivanti dalla scarsa applicazione della legge 54/2006 nei tribunali italiani.

Il legislatore, con la riforma dell’art. 155 del codice civile, aveva introdotto il principio delle pari opportunità genitoriali anche quando i genitori decidono di non convivere più. In questi dieci anni il divario tra legge, cioè la teoria, e la prassi giudiziale sull’affido condiviso provoca un pericoloso malessere nei confronti dei provvedimenti della giustizia italiana che disattende, nella maggior parte dei casi, le aspettative dei minori e dei loro genitori.

Le condanne europee all’Italia per le inadempienze su queste tematiche confermano, ancora una volta, l’arretratezza del nostro sistema giudiziario che parla di affido condiviso - non potendo fare diversamente - ma che di fatto ignora “il danno psicologico che i conflitti familiari inducono nella prole, del deterioramento economico che provocano allo stato e del danno sociale che consegue all’abnorme dilatarsi del contenzioso”.

Il tribunale di Brindisi, proprio per tutelare le aspettative disattese dai provvedimenti di numerosi magistrati e tribunali e per superare la lentezza dei processi si sente obbligato a fare la scelta della “fedele adesione ai principi della riforma del 2006 … non potendosi privare i cittadini della certezza dei diritti in merito ad aspetti così delicati come quelli che appartengono alle relazioni familiari” nel rispetto delle sollecitazioni che ci pervengono da organismi sovranazionali.

Le aspettative create dalla riforma del 2006 sono state largamente disattese dai provvedimenti dei magistrati e dei tribunali a cui la legge lascia una pericolosa discrezionalità.

I provvedimenti che, dopo la fine della convivenza da parte dei genitori, non contemplano una loro paritetica compresenza nella vita dei figli alimentano solo la conflittualità. Il genitore che si sente penalizzato o emarginato è portato a non rispettare il provvedimento e a ricorrere nuovamente al giudice se sostenuto dalle proprie risorse economiche. E non è detto, poi, che le sue giuste rivendicazioni vengano puntualmente accolte. L’altro genitore, non vedendo rispettati i provvedimenti del tribunale, ricorre anche lui nuovamente al giudice, provocando, così, un intasamento della giustizia.

L’incremento della conflittualità tra i genitori non permette loro di utilizzare “le forme alternative di risoluzione delle controversie, a dispetto del loro moltiplicarsi”, quali la mediazione familiare e tutte quelle procedure finalizzate al contenimento del conflitto familiare e/o ad una sua soluzione extragiudiziale.

La giurisprudenza, i numerosi studi scientifici internazionali, il Consiglio d’Europa con la risoluzione 2079/2015 – è scritto nel documento del tribunale di Brindisi - ribadiscono la necessità – potremmo dire anche l’urgenza – di “assicurare l’effettiva uguaglianza tra genitori nei confronti dei propri figli” poiché si riconosce “la bontà e superiorità del modello realmente (e non solo nominalmente) bigenitoriale ai fini della tutela del superiore interesse del minore”.

Con queste linee guida, se accolte come base operativa da tutti, verrebbero superate le vigenti “prassi distorte” che creano disparità tra i genitori, cioè tra quello più forte che è sempre il collocatario/affidatario e l’altro a cui viene riservata una genitorialità secondaria e prevalentemente di natura economica.

 

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Martedì 14 Marzo 2017 12:00

 

Il protocollo come unico strumento

 

di garanzia per gli interessi pubblici

 

avv. Francesco Valentini *

***

I servizi sociali, nonostante le innumerevoli accuse di superficialità e faziosità rivolte loro per le relazioni inoltrate ai tribunali chiamati ad effettuare l’affido dei minori, continuano a rivendicare la propria autonomia gestionale dell’incarico, a rifiutare il controllo esterno all’ente del loro operato e il protocollo che regola il loro modo di operare sulla delicata materia minorile. Tollerano solo la stesura di un disciplinare che consigli come comportarsi perché non vincolante. Senza un controllo codificato nessuno potrà mettere in discussione la liceità del loro servizio.

I servizi sociali sono parte integrante della pubblica amministrazione e pertanto non possono sottrarsi alla legge che regolamenta la pubblica amministrazione. I cittadini hanno diritto alla trasparenza e al contraddittorio, anche sulle relazioni dei servizi sociali, e, pertanto, come qualsiasi mortale devono permettere ai genitori di avere copia di tutti gli atti che riguardano loro e i loro figli.

Tutelare il superiore interesse dei minori non vuol dire nascondere il proprio operato e considerarsi una lobby che non deve rendere conto a nessuno, nemmeno ai propri superiori.

I diretti responsabili del servizio e del relativo controllo quando non rispettano le disposizioni vigenti devono essere rimossi dall’incarico perché dannosi alla società e responsabili del cattivo servizio e dello sperpero del danaro pubblico.

***

Fino al 1990 la P.A ha svolta le funzioni amministrative secondo procedimenti divenuti di rito in seguito alla giurisprudenza del Consiglio di stato chiamato ad intervenire nelle questioni sollevate in seguito a violazioni del principio costituzionale di cui all'art. 97 della Cost.

Sappiamo che l'attività della P.A deve essere finalizzata al perseguimento dei fini pubblici individuati dal legislatore. Quanto più l'attività è regolamentata, tanto più questa diviene vincolata ai fini della legittimità.

Quando il legislatore consente margini di discrezionalità, l'azione deve restare nell'ambito dei parametri prefissati dalla norma. Fuori da questi azione e potere sono fuori legge.

Il fondamento normativo legittimante l’azione della P.A è individuato nell'art. 1 comma 1 bis della legge 241/90.

Qui rinveniamo la distinzione tra attività amministrativa funzionale e paritaria.

L'attività amministrativa funzionale può essere esercitata mediante ricorso ad atti autoritativi (propri del potere pubblico senza il consenso del cittadino, come l'ordinanza), oppure in forza di previsione di legge, atti non autoritativi.

Per l'attività amministrativa paritaria, esercitata mediante atti non autoritativi, è necessario il concorso della volontà del privato.

Con le riforme della P.A degli ultimi anni è stato avviato il processo di cambiamento dell'esercizio della funzione amministrativa basato su due principi: la riorganizzazione delle istituzioni fondata sul pluralismo e l'altro sulla trasparenza.

L'azione della P.A è indirizzata al rispetto di due canoni. Semplificazione e razionalizzazione.

Le riforme hanno spinto la P.A verso il decentramento, la semplificazione, pubblicità e partecipazione.

Lo Stato si è sempre più spogliato del potere centrale per dare forza al diritto di partecipazione del cittadino, al fine di perseguire gli interessi pubblici sempre più rivendicati.

In questo quadro è stato inserito e disciplinato il procedimento amministrativo, voluto dal legislatore come momento in cui vengono bilanciati interessi pubblici e privati.

La novità storica ha portato ad un sistema basato sul contraddittorio e sulla dialettica tra le parti. Il sistema tutela il cittadino nei confronti della P.A.

L'attenzione si è spostata dal processo amministrativo, fase di esecuzione, al procedimento amministrativo che costituisce un momento precedente a quello dell'esercizio dell'azione amministrativa.

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Mercoledì 08 Febbraio 2017 10:26

Nelle separazioni e nei divorzi

da vent’anni a tutela dei Minori


L’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori, associazione di promozione sociale, è stata istituita, con sede nazionale in Umbria, per ribadire che i genitori restano tali anche dopo la separazione, contrastando la tendenza che li considerava contrapposti ed escludenti nelle separazioni. Tale convinzione era incarnata anche da specifiche associazioni che si combattevano a vicenda, padri separati contro madri separate, che alimentavano una conflittualità estremamente dannosa per i minori. L’associazione (padri, madri, nonni, figli dei separati e persone che ne condividono le finalità) opera in tutto il territorio nazionale e mette gratuitamente a disposizione di tutti i cittadini coinvolti in queste difficili situazioni la propria esperienza e la propria professionalità in campo legale, psicologico e sociale. Per venire incontro alle difficoltà economiche di tantissimi genitori e per calmierare parcelle eccessivamente esose, l’associazione ha sottoscritto convenzioni con professionisti quali legali (per quei genitori che non possono accedere al patrocinio gratuito a spese dello Stato), psicologi, pedagogisti ed assistenti sociali e mediatori culturali, le cui prestazioni sono regolamentate sia nelle modalità attuative che nei costi, di gran lunga inferiori a quelli di mercato.

I minori per i tribunali, di fatto, sono oggetti del contendere dei genitori e non soggetti con diritti e sentimenti. La loro tutela non può essere sacrificata agli interessi, talvolta solo egoistici, dei genitori. L’associazione è nata anche per tutelare, nelle separazioni, i minori sovente sacrificati alle ragioni degli adulti. In molte sentenze si parla dei diritti dell’adulto, delle sue libertà ma pochissime sono quelle che si soffermano sulle esigenze inderogabili dei minori. Lasciano perplesse alcune sentenze della Cassazione, talvolta contraddittorie tra loro, che sostengono che il genitore affidatario possa trasferirsi con il figlio anche distante migliaia di km dall’altro genitore, costringendo il minore a vederlo solo raramente e ad abbandonare il contesto sociale ed amicale in cui è sempre vissuto. Disarmante la motivazione addotta: non si può limitare le libertà del genitore (adulto) affidatario e il minore non risentirà del radicale cambiamento perché la giovane età gli permetterà di adattarsi alle nuove situazioni esistenziali ed ambientali.

La conflittualità tra i genitori - “abusata” dai servizi sociali per giustificare la mancata presenza significativa (nei fatti e non nelle parole) del genitore non collocatario - è alimentata troppo spesso dai provvedimenti generici, ambigui e talvolta iniqui dei tribunali, dalla discutibile professionalità dei servizi sociali e dei psicologi incaricati dal tribunale ad analizzare la situazione dei minori e dalla emarginazione del genitore non collocatario o non affidatario. Non esiste, in Italia, una prassi giudiziaria chiara applicata in modo costante nelle separazioni e questo contribuisce alle discriminazioni tra genitore e genitore, tra zona e zona ed alimenta la sfiducia nelle istituzioni pubbliche.

In questi giorni è iniziato il ventesimo anno di attività dell’associazione e sarà dedicato prevalentemente alla sottoscrizione di tanti protocolli d’intesa che coinvolgano tribunali, genitori separati e le loro associazioni di riferimento, servizi sociali, enti locali, gli ordini professionali per regolamentare la loro attività e le loro competenze, e, in particolare, l’attività dei servizi sociali incaricati dai tribunali a riferire sulla situazione psico-sociale e familiare dei minori sui quali si deve provvedere al loro affidamento e si deve stabilire l’assegno di mantenimento.

La sensibilizzazione delle istituzioni locali su queste problematiche dovrà portare alla stesura di un protocollo d’intesa nazionale che ponga fine all’attuale discrezionalità e disparità di trattamento dei minori e dei loro genitori da città a città, da tribunale a tribunale.

 

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Mercoledì 08 Febbraio 2017 10:24

Ciò che nessuno dice

Percorso protetto:

contraddizioni e mancate garanzie


avv. Gerardo Spira *

 

Del cosiddetto percorso protetto la legge non parla, e nel DPR n. 616 del 1977 si discute in generale della materia dell'assistenza sociale affidata ai Comuni. La delega ne prevede la competenza disciplinare alle Regioni.

Le leggi regionali pur intervenendo sul tema dell'assistenza sociale, lo hanno trattato in via generale negli aspetti più marcatamente avvertiti, delegando ai Comuni l'organizzazione strumentale di supporto alle Istituzioni come la Magistratura. Non troviamo alcuna disciplina riguardante la tutela del minore nei rapporti con la famiglia e con i genitori separati o divorziati. Troviamo invece molto approfondito l'argomento sui minori dalla legislazione internazionale e da quella Europea come: La Carta delle convenzioni internazionali, le direttive europee, la Carta di Noto, le linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, la Scheda dei diritti umani, leggi e documenti che insistono sull'obbligo di prestare ascolto al minore, di rispettare la sua personalità e i suoi diritti. L'art 9 della ”Convenzione dei diritti dell'infanzia O.N.U 1989” stabilisce “che il bambino deve mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando è contrario al maggior interesse del bambino”.

Dunque la convenzione privilegia due condizioni: le relazioni personali con entrambi i genitori e il superiore interesse del minore. Gli operatori, giudici e servizi, hanno l'obbligo di indirizzare le norme in tale direzione. E' violazione di legge quando si toglie un genitore al minore. E' un abuso quando si impone un percorso protetto al genitore col quale il minore vive ottima relazione. Nell'uno e nell'altro caso giustizia e servizi si muovono contro il superiore interesse del minore.

Che cosa è il percorso protetto?

È un cammino imposto, in spazi neutri, teoricamente a sostegno dei diritti dei bambini e degli adolescenti per il mantenimento della relazione con i genitori non collocatari.  La legge non ne parla e neppure esistono normative di settore regionali o locali. Gli studi di settore, attraverso l'evoluzione scientifica della problematica, hanno portato alla nascita di un metodo capace e idoneo a mantenere e garantire i rapporti tra genitori e figli, allorquando insorgono cause di frattura dell'equilibrio familiare e del minore.

La prassi metodologica è divenuto sistema di regime attraverso il protocollo, richiamato in Regolamenti o convenzioni approvati dalle Regioni. Il percorso protetto è tracciato per linee nella convenzione che tiene conto degli interessi del minore e soprattutto degli obiettivi finalizzati a recuperare e mantenere le relazioni tra genitori e figli.

Pertanto, è errato e pregiudizievole un percorso imposto al genitore che ha una normale relazione col figlio, perché viene alterato il rapporto e il benessere vissuto. Questa fase deve essere delicatamente e approfonditamente affrontata da tutte le parti in causa. Poiché la vita di relazioni tocca aspetti sentimentali ed affettivi, al giudice del tribunale minorile è riservato un compito di grande equilibrio nel superiore interesse del minore e cioè quello di assicurare la partecipazione e la presenza di entrambi i genitori.

Il tribunale ha l'obbligo quindi di usare e adottare tutti gli strumenti utili per valutare condizioni e circostanze, prima di disporre un percorso limitativo della relazione vissuta tra il genitore ed il figlio. Quando poi sorge la necessità accertata concretamente secondo la quale è utile ed importante il cammino, per avvicinare il genitore al figlio, il progetto non deve limitarsi ad una generica ed astratta dichiarazione di intenti, ma deve riportare la linea guida e concreta adatta al caso, con la metodologia da seguire.

 

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Venerdì 03 Febbraio 2017 16:13

Un Fondo statale di solidarietà in


Tutela del genitore in stato di bisogno


avv. Francesco Valentini

Nella legge di stabilità del 2016 è prevista l’istituzione in via sperimentale di un Fondo di solidarietà a tutela del coniuge in stato di bisogno per gli anni 2016 e 2017 con la relativa dotazione di euro 250.000 e di 500.000 euro per l'anno in corso.

Il coniuge in stato di bisogno è quello “che non è in grado di provvedere al mantenimento proprio e dei figli minori, oltre che dei figli maggiorenni portatori di handicap grave, conviventi, qualora non abbia ricevuto l'assegno determinato ai sensi dell'art. 156 del codice civile per inadempienza del coniuge che vi era tenuto”.

Il Fondo verrà gestito dal Ministero della giustizia in concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze.

Il genitore che si trova in questo stato sociale deve fare “istanza da depositare nella cancelleria del tribunale del luogo ove ha residenza, per l'anticipazione di una somma non superiore all'importo dell'assegno medesimo; che il presidente del tribunale o un giudice da lui delegato, ritenuti sussistenti i presupposti di cui al periodo precedente, assumendo, ove occorra, informazioni, nei trenta giorni successivi al deposito dell'istanza, valuta l'ammissibilità dell'istanza medesima e la trasmette al Ministero della giustizia ai fini della corresponsione della somma di cui al periodo precedente; che il Ministero della giustizia si rivale sul coniuge inadempiente per il recupero delle risorse erogate; che, quando il presidente del tribunale o il giudice da lui delegato non ritiene sussistenti i presupposti per la trasmissione dell'istanza al Ministero della giustizia, provvede al rigetto della stessa con decreto non impugnabile”.

In data 15.12.2016 è stato emesso il decreto d’istituzione da parte del Ministro della giustizia che diverrà operativo dal 13 febbraio 2017 e da quella data potranno essere inoltrate le istanze alle cancellerie dei tribunali designati.

I Tribunali legittimati a ricevere l'istanza sono quelli che hanno sede nel capoluogo dei distretti sede delle Corti di Appello e precisamente i tribunali di: Ancona, Bari, Bologna, Bolzano, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L'Aquila, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Sassari, Taranto, Torino, Trento, Trieste, Venezia.

L’istanza, da consegnare alla cancelleria del tribunale dove si ha la residenza, deve contenere: “le generalità e i dati anagrafici del richiedente, il codice fiscale, l'indicazione degli estremi del proprio conto corrente bancario o postale, l'indicazione della misura dell'inadempimento del coniuge tenuto a versare l'assegno di mantenimento, con la specificazione che lo stesso è maturato in epoca successiva all'entrata in vigore della legge, l'indicazione se il coniuge inadempiente percepisca redditi da lavoro dipendente e, nel caso affermativo, l'indicazione che il datore del lavoro si è reso inadempiente all'obbligo di versamento diretto a favore del richiedente a norma dell'art. 156, sesto comma, del codice civile, l'indicazione che il valore dell'indicatore ISEE o dell'ISEE corrente in corso di validità è inferiore o uguale a euro 3.000, l'indirizzo di posta elettronica ordinaria o certificata a cui l'interessato intende ricevere ogni comunicazione relativa all'istanza, la dichiarazione di versare in una condizione di occupazione, ovvero di disoccupazione ai sensi dell'art. 19 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 150, senza la necessità della dichiarazione al portale nazionale delle politiche del lavoro di cui all'art. 13 del medesimo decreto; in caso di disoccupazione, la dichiarazione di non aver rifiutato offerte di lavoro negli ultimi due anni”.

All'istanza deve essere allegata a pena di inammissibilità: “copia del documento di identità del richiedente, copia autentica del verbale di pignoramento mobiliare negativo, ovvero copia della dichiarazione negativa del terzo pignorato relativamente alle procedure esecutive promosse nei confronti del coniuge inadempiente, visura rilasciata dalla conservatoria dei registri immobiliari delle province di nascita e residenza del coniuge inadempiente da cui risulti l'impossidenza di beni immobili, l'originale del titolo che fonda il diritto all'assegno di mantenimento, ovvero di copia del titolo munita di formula esecutiva rilasciata a norma dell'art. 476, primo comma, del codice di procedura civile. Ai sensi dell'art. 1, comma 415, della legge il procedimento amministrativo di cui al presente articolo non è assoggettato al pagamento del contributo unificato”.

 

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Martedì 31 Gennaio 2017 16:52

I centri antiviolenza

 

Un fenomeno dai contorni sommersi!


Avv. Gerardo Spira

 

La Corte dei conti con la relazione del 2016 ha acceso il faro sul fiume di danaro speso per i centri antiviolenza.

Con la delibera n. 9 del 2016 la Corte dei Conti ha approvato la relazione concernente “La gestione delle risorse finanziarie per l’assistenza e il sostegno alle donne vittime di violenza e ai loro figli (d.l. n. 93/2013)”

La suprema Corte ha incentrato l'indagine sulla gestione delle risorse assegnate con il predetto decreto.

Il Giudice contabile in sintesi evidenzia che dopo tre anni di impegno legislativo ancora vi sono carenze e ritardi nell'applicazione della legge.

Risulta insoddisfacente la gestione delle risorse assegnate per gli anni 2013-2014 e sono risultate carenti le comunicazioni conoscitive circa l'effettivo impiego delle risorse finanziarie.

Sulla linea del finanziamento, scrive la Corte, “l’amministrazione statale è sollecitata a recuperare il ruolo di amministrazione vigilante sull’impiego delle risorse statali assegnate alle regioni. Nel contempo, raccomanda alla Segreteria della Conferenza Stato-regioni e alla Conferenza delle regioni e delle province autonome di adottare le misure necessarie per impegnare le regioni a una maggiore attenzione verso il rispetto (sostanziale, e non solo formale) delle modalità di leale collaborazione individuate dal d.p.c.m. 24 luglio 2014, con particolare riguardo alla comunicazione al Dipartimento per le pari opportunità del concreto impiego delle risorse e delle valutazioni quali-quantitative effettuate sui risultati conseguiti, di modo che lo stesso possa, a sua volta, rassegnare al Parlamento le informazioni a questo dovute sulla concreta attuazione della legge”.

La relazione sviluppa in oltre 90 pagine l'indagine sistematica in tutte le regioni, riportando carenze e inadempienze rilevate fino al 2016.

La notizia, montata a grossi titoli locali e nazionali, ci fa apprendere che il 24 gennaio di quest'anno l'associazione “Libera...Mente Donna” della regione Umbria ha superato il concorso nazionale con il progetto “Non solo rifugio”.

Il progetto avallato dai Comuni di Perugia, Terni, e Narni, con una vasta rete di altre associazioni, prevede il potenziamento dei centri antiviolenza dell'Umbria e dei servizi di assistenza alle donne vittime di violenza e ai loro figli e il rafforzamento della rete dei servizi territoriali.

Il progetto impegna finanziamenti pubblici per un importo di oltre 250.000 euro per 24 mesi.

Alla conferenza pubblica del 24 gennaio non sono stati forniti, benché richiesti, i dati esplicativi per la redazione del progetto, usati per superare le valutazioni ministeriali, né sono stati resi pubblici i rendiconti dei finanziamenti assegnati ai precedenti progetti.

La trasparenza di cui tanto si parla risulta ancora un miraggio nelle associazioni antiviolenza. Eppure anche per queste valgono le regole di pubblicare dati, contabilità, convenzioni e protocolli, per consentire a qualsiasi cittadino di conoscere e avere notizie delle attività, degli obiettivi e dei risultati.

Durante il convegno alla domanda specifica sull’argomento, l’interlocutore è stato rimandato agli atti di progetti che ancora non sono stati rendicontati.

Eppure la legge precisa che eventuali altri progetti presentati non possono essere ammessi a finanziamento se non sono stati conclusi, rendicontati ed approvati quelli precedenti.

Sono proprio questi dati dichiarati e non accertati, peraltro non ancora rendicontati, come scrive la Corte dei Conti nella relazione per le singole regioni, che ci hanno portato a rivolgere lo sguardo su di una questione che è divenuto evento impegnato con danaro pubblico.

In un momento in cui si raccolgono fondi attraverso il 45500 per le disgrazie del terremoto nella martoriata Italia centrale, le istituzioni e le associazioni s’impegnano a sottrarre risorse pubbliche per progetti diversi. Sarebbe stato più qualificante se Governo, Regione, Comuni ed associazioni avessero rinunciato in favore di così immenso disastro. Non potevano essere realizzati progetti con risorse del solo volontariato privato?

Ma tant’è!

Molti governi, tra cui il nostro, ha raccolto il messaggio di Istanbul per aprire uno spazio in cui muovere pedine e praticare i soliti giochi di cordata.

 

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Venerdì 27 Gennaio 2017 17:42

Legali e Giudici: al servizio di chi?


Gentile Associazione,

vi seguo sul web da tanto tempo e condivido le vostre battaglie per i figli e per il genitore impotente dinnanzi ai Giudici e ai servizi sociali.

Mi sono deciso ad inviarmi alcune mie considerazioni sulla Giustizia per sottolineare il calvario a cui siamo condannati noi padri separati, quasi sempre intimoriti a pretendere il rispetto dei nostri diritti e di quelli dei nostri figli. Chi ha sperimentato la separazione giudiziale sconsigliano di mettersi contro le decisioni dei giudici perché così si peggiora la nostra posizione.

Ho avuto due legali, prima una donna e poi un uomo, ed ambedue mi sconsigliarono di insistere sulle mie richieste per ottenere una separazione che garantisse a me e ai miei figli la bigenitorialità.

Leggendo i vostri articoli ho avuto l’impressione che non volevano contrapporsi al giudice e, purtroppo, alla mia moglie la cui famiglia è economicamente potente. Dinnanzi alle mie insistenze mi veniva ripetuto che così operano i tribunali e che col tempo poi le cose cambieranno, facendomi capire che se insistevo sulle mie ragioni dovevo cercarmi un'altra difesa. Le parcelle erano sempre elevate.

In questa situazione non mi è restato che fare buon viso a cattiva sorte.

Al divorzio ho cercato di modificare le condizioni di separazioni, ma inutilmente perché mi è stato risposto che non c’erano stati fatti nuovi rispetto alla separazione e pertanto non c’era alcun motivo per modificarne le condizioni. I miei figli all’atto del divorzio chiesto dalla mia ex, avevano 13 e 11 anni. (lettera firmata)

 

***

Il titolo dato a questo intervento è volutamente provocatorio non tanto per discreditare l’intera categoria degli avvocati e dei giudici ma per evidenziare come alcuni loro esponenti non aiutano i cittadini ad avere fiducia nel loro operato.

Le considerazioni-denuncia del nostro lettore sono, purtroppo, conseguenti a tanti fatti che con consuetudine accadono nel variegato e complesso mondo delle separazioni. Le sentenze, con troppa facilità, sono” creative” e non giustificate in punto di diritto e si basano prevalentemente su valutazioni psicologiche - “fai da te” - che solo con tanta buona volontà e permissivismo potrebbero essere tollerate dalla scienza psicologica.

La convinzione che in alcuni collegi giudicanti prevalga la convinzione ideologica che la donna sia intoccabile e che il padre non possa assolvere adeguatamente al ruolo genitoriale è diffusa tra quei genitori che vengono “massacrati” da provvedimenti e sentenze di parte fortemente punitive e lesive del loro ruolo e della loro dignità. Si riconosce loro solo l’obbligo a pagare assegni di mantenimento non giustificati dallo stipendio percepito. Le spese straordinarie non vincolate al dovere dell’approvazione preventiva del genitore collocatario spesso sono insostenibili e costringono il padre a vivere con pochi spiccioli e, spesso, a supplicare ospitalità a parenti, amici e strutture di carità.

 

Il disagio del genitore debole, però, non interessa minimamente alcuni giudici, i quali non riescono a comprendere che senza equità economica e senza provvedimenti equi non c’è bigenitorialità e i minori non vengono tutelati proprio per le inadempienze di chi dovrebbe istituzionalmente tutelarli.

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