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Martedì 19 Maggio 2015 18:31

Il Bullismo: le responsabilità delle istituzioni

avv. Gerardo Spira

 

Corretta riflessione, quella del dott. Maurizio Bartolucci (espressa nell’articolo di seguito riportato) per quanto riguarda l’analisi, l’ambiente e il mondo che oggi circonda la vita del minore.

Dove esiste la famiglia, un padre ed una madre che si rapportano ai valori ed ai principi ancora cardini della società, le responsabilità vanno addebitate soprattutto ai genitori, ma dove la famiglia è finita nella cultura della separazione o del divorzio le responsabilità vanno addebitate alle istituzioni coinvolte e alla giustizia minorile che insistono per gli affidamenti condizionati e limitati o addirittura con affidamenti esclusivi, impedendo ad un genitore di adempiere agli obblighi di cui all’art. 30 della Costituzione e art. 147 del c.c. La sottrazione disposta con la solita formula ed in nome della legge è il momento in cui comincia il disastro della vita del minore...

 

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Venerdì 08 Maggio 2015 09:07

incredibile ma vero!

Centri antiviolenza per le madri

e/o violenza legalizzata sui padri?

 

di Ubaldo Valentini *

Occorre premettere che la violenza  non ha ragione d’esistere in nessun caso e che deve essere combattuta con tutti i mezzi. Ciò, però, non ci esime dal sottolineare che la violenza spesso viene invocata a sproposito e che dietro a certe battaglie si nascondono interessi non sempre solari. La violenza fisica è con maggior frequenza di genere ma non va sottovalutata quella psicologica, sociale, culturale che l’alimenta o che – come troppo spesso avviene – la subisce l’uomo e per questo troppi contesti sociali continuano a negala.

Il binomio che vuole la donna sempre vittima e l’uomo sempre carnefice è fuorviante.

 

Il fatto

Un uomo, divorziato e con un figlio maggiorenne cresciuto in collaborazione con la madre, diviene nuovamente padre a seguito di una relazione con una straniera. Solo ora viene a sapere che questa donna era stata “deferita all’autorità giudiziaria per molestie e disturbi alle persone, per stupefacenti ed era stata denunciata per lesioni personali e per violazione di domicilio a scopo di furto” e, a causa della sua “pericolosità sociale” gli veniva negato il permesso di soggiorno.

La nascita di un figlio in Italia le aveva assicurato il permesso di soggiorno pur restando in piedi tutti i provvedimenti giudiziari. Da quel momento, lei, aveva risolto i propri problemi di soggiorno e pensò bene di far fruttare economicamente la nascita di un figlio concepito con un uomo italiano.

Ha incominciato a contestare la convivenza, a rendere impossibile la vita al compagno, a rifiutare il lavoro  e a trascorrere gran parte del giorno al bar. Ma non si era fermata a ciò. Lo offendeva continuamente anche in presenza degli amici, lo accusava di essere sempre ubriaco (perché una volta, dopo una cena con amici, era risultato positivo al test etilico) e di essere un cocainomane (circa trent’anni fa un coetaneo  con  problemi di droga aveva riferito alle forze dell’ordine che lui, giovanissimo, gli aveva fornito uno spinello. Fu indagato e assolto perché estraneo ai fatti).

Col passare dei mesi la signora intensificò le aggressioni verbali e non solo contro il compagno, chiedendo continuamente soldi a tutti per inviarli, a suo dire, alla madre malata, incominciò  a chiamare continuamente i carabinieri per ogni discussione con il padre di suo figlio che, la sera, al rientro dal lavoro chiedeva informazioni sul bambino. Arrivò ad accusarlo di violenza e stalking su di lei e sul figlio stesso, di maltrattalo mentre, in realtà, il piccolo era legatissimo al padre che, nel tempo libero, stava sempre con lui.

Nelle denunce ha indicato una serie di testimoni suoi amici che, interrogati dai carabinieri, hanno messo in evidenza la pazienza del compagno, le sue capacità genitoriali ed invece hanno evidenziato il carattere difficile e violento della signora che l’umiliava ed offendeva continuamente e senza alcun motivo, che era sempre alla ricerca di soldi tra i conoscenti e i parenti dell’uomo. Arrivò a chiedere soldi anche su internet.

Gli stessi carabinieri hanno segnalato alla Procura della Repubblica competente che quanto denunciato dalla signora era in netto contrasto con quanto affermato dai testimoni da lei indicati che, al contrario, negavano la violenza del compagno che, secondo loro, era la vera vittima del comportamento della signora.

Una bella sera la signora ha chiamato i carabinieri per presunte violenze del compagno ed ha dichiarato che voleva andarsene da casa con il figlio per andare a vivere altrove, nonostante il compagno le avesse prospettato, dinnanzi alle forze dell’ordine, di restare lei in casa perché se ne sarebbe andato lui.  In realtà era già pronta l’amica della signora – anch’essa con problemi con la giustizia – che li ha prelevati per portarli a dormire a casa sua.

Il giorno dopo si è rivolta ad un centro antiviolenza per chiedere protezione e ad una casa protetta in un comune vicino per essere ospitata. Il genitore solo ora è venuto a conoscenza dove si trovi suo figlio che da oltre cinque mesi non vede e non sente. Il bambino ora ha  due anni e mezzo ed ancora non sa perché il padre – che continua disperatamente a cercare -  sia “sparito nel nulla”.

 

Il centro antiviolenza

ubicato in una grossa città umbra, è finanziato dagli enti pubblici, rientra nei progetti a difesa della donna che, a loro dire, è l’esclusiva vittima della violenza dell’uomo. Le istituzioni finanziano strutture senza il minimo riscontro oggettivo sul loro operare e sulle competenze scientifiche degli operatori. Il dinamismo – meglio sarebbe dire la interessata presunzione e il fanatismo settario e qualunquista – ha indotto la responsabile del  centro a scrivere al tribunale per i minori affinché venisse tolta al padre la responsabilità genitoriale, invitandolo a tenergli nascosta la località dell’attuale residenza della madre e del figlio e, cosa ancor più grave, chiedendo di secretare la lettera per garantire la tutela della signora e del minore.

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Giovedì 23 Aprile 2015 12:33

DIVORZIO BREVE

“La volta buona” ... con tanta ipocrisia!

 

avv. s. Francesco Valentini


La camera dei deputati ha licenziato con 298 voti favorevoli, 28 contrari e 6 astenuti la modifica della legge sul divorzio n. 898 del 1970. Questo il testo approvato:

“Art. 1. 1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell'articolo 3 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale».

Art. 2.  1. All'articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione ».

Art. 3.  1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data”.

 

Cambiano le regole per divorziare (valide anche per le separazioni pendenti) in merito ai tempi – che vanno dai 6 ai 12 mesi - e allo scioglimento della comunione dei beni con effetto immediato dalla sottoscrizione del verbale di separazione dinnanzi al presidente del tribunale.

E’ una legge che era attesa da tanti anni ma che poteva essere più completa poiché aspettare sei mesi per divorziare non ha alcun senso, soprattutto quando il divorzio è consensuale, poiché questo lasso di tempo è funzionale solo alle varie lobby che speculano sulle separazioni. Il divorzio deve essere immediato sia quando è congiunto che quando è giudiziale.

La doppia lettura della fine del matrimonio, con separazione e divorzio, è anacronistica poiché quando due persone arrivano allo scioglimento del matrimonio lo fanno a ragion veduta e a nulla servono le pause di riflessione. I divieti confessionali ed ideologici non hanno alcuna ragione di esistere in una società moderna e liberale poiché non si può chiedere al legislatore di porre in essere vincoli per “imporre” una unione che non esiste più.

Si invoca la pausa tra separazione e divorzio come una questione di moralità di riflessione sull’atto compiuto con la separazione senza considerare che la legge non può andare contro la coscienza delle persone e che non può sostituirsi alla mancanza di una eventuale cultura “unionistica” della coppia; nemmeno si può pensare che coloro che si separano = divorziano lo facciano con superficialità ed inconsapevolezza. Un  presupposto, questo, assai rischioso per le possibili conseguenze in tutti i campi sociali.

C’è da chiedersi cosa cambierà, in sei mesi o un anno,  tra separazione e divorzio: nulla poiché il giudice, in caso di giudiziale, riconfermerà le condizioni della separazione e, in caso di consensuale, i ripensamenti non avverranno in sei mesi. Quindi solo costi economici aggiuntivi ed inasprimento della conflittualità in atto.

Il diritto di famiglia deve essere rivisto in modo radicale e i provvedimenti tampone servono solo per porre termine a certe contraddizioni della legge in vigore.

La maggioranza dei figli delle coppie coniugate e di fatto hanno genitori che non vivono più nella stessa casa coniugale e la fine della convivenza, nella stragrande maggioranza, avviene in modo conflittuale: i provvedimenti dei tribunali spesso sono discriminatori tra padre e madre, negando di fatto le pari opportunità genitoriali - la cosiddetta bigenitorialità - con il conseguente incremento della conflittualità ad esclusivo danno dei minori coinvolti che si vedono privati della insostituibile figura di un genitore.

Che senso ha parlare di divorzio breve - quando lo stesso dovrebbe essere immediato, con conseguente riduzione dei costi economici ed umani - se non si affronta il tema dell’affido

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Venerdì 10 Aprile 2015 18:58

Stampa Umbra

Come disinformare con i soldi pubblici

La redazione giornalistica della sede umbra della Rai eccelle nel riproporre, fino alla nausea, ogni giorno gli stessi servizi nelle varie edizioni, nell’offrire tematiche quanto mai antiquate, soprattutto di cronaca nera, nell’usare una discutibile discrezionalità nel dare informazioni sulle libere iniziative socio-culturali che si tengono nella piccola regione, dimenticando spesso le dure realtà sociali che la maggior parte dei contribuenti deve quotidianamente affrontare. Queste problematiche sociali non hanno pari dignità nella dovuta considerazione delle istituzioni e della maggior parte della stampa locale che, però, beneficiano di consistenti finanziamenti pubblici, cioè dei nostri soldi. Alcune testate, occorre sottolinearlo, non operano nel modo che andiamo denunciando.

Il 19 marzo, festa del papà, i notiziari regionali della Rai annunciano, con tono trionfale, questa ricorrenza e lo spazio viene così suddiviso: il 70% si parla della violenza sulle donne, il 20% viene dedicata alla ricorrenza di S. Giuseppe falegname e, infine, per festeggiare i papà si propone loro come fare le frittelle del santo del giorno!

Nessuno mette in discussione la violenza sul gentil sesso - sarebbe opportuno, però, prendere in esame pure la violenza che molte donne fanno sugli uomini soprattutto nelle separazioni inducendoli spesso alla disperazione e danneggiando gravemente la crescita psico-fisica dei minori. Nessuno parla di quei padri a cui viene impedito di vedere i propri figli, che se insistono sui propri diritti di genitori e sui diritti della prole alla paritetica bigenitorialità, vengono sovente denunciati per maltrattamenti in famiglia e per stalking, per pedofilia e rischiano di vedersi sospesa la responsabilità genitoriale e frequentarli solo con modalità protette, cioè. nel migliore dei casi, una o due ore alla settimana rinchiusi in uno spazio angusto.

Il padre, come prassi, non può contestare il solo ruolo istituzionale di bancomat ( con assegni di mantenimento stabiliti senza alcun parametro di riferimento con i reali redditi di ambedue i genitori e senza nessun riferimento al costo di un figlio in una famiglia normale), non si vede riconosciuto alcun diritto, colto dalla disperazione spesso ricorre a forme autolesioniste che sfociano nel suicidio. Questo, però, non fa storia poiché i drammi psicologici non interessano a troppe persone.

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Venerdì 10 Aprile 2015 18:56

 

 
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Mercoledì 25 Marzo 2015 17:16

Gli abusi sui minori

Il bambino, quando occorre, sa chiedere aiuto ...

... Ascoltalo

Il volume nasce dal vissuto di una professionista che non ha dimenticato di essere stata bambina, ragazza, giovane madre e di aver lottato per raggiungere l’attuale posizione sociale non disdegnando il lavoro onesto e semplice ma indispensabile per mantenere la famiglia e per poter conseguire la laurea in giurisprudenza.

Il vissuto di madre, l’attenzione , ”cruda”, riservata ad una società in rapida evoluzione che spesso  dimentica le proprie radici e i propri valori in nome del conclamato diritto al benessere e alla felicità, le “chiacchierate” aule dei tribunali inducono l’autrice a dar voce agli innumerevoli minori  che  ci segnalano il loro malessere e che  chiedono aiuto contro i variegati abusi che, loro malgrado, devono subire nell’indifferenza della maggior parte di noi.

“La violenza sessuale e i maltrattamenti ai danni dei minori  – scrive l’autrice – hanno radici antichissime, non solo per quanto riguarda l’individuo che giunge a metterli in atto, ma anche per quanto riguarda la società al cui interno si continua ad esercitare. Si è inevitabilmente portati a pensare che la realtà della violenza sulla infanzia sia qualcosa di altro da noi e che  il progresso culturale e sociale in qualche modo ci protegga da certi disonori. E’ doloroso riconoscere e accettare che, invece, anche dietro l’apparente normalità si consumano violenze e abusi in danno dei minori”.

Il bambino - ci ricorda  Caterina Grillone - quando occorre sa chiedere aiuto ma noi non siamo sempre pronti o capaci ad ascoltarlo. Con la nostra superficialità ed indifferenza, sembra rimproverarci  l’avvocatessa,  permettiamo che i bambini continuino ad essere abusati fisicamente, psicologicamente e moralmente.

“Compito degli adulti - si legge nel volume – è la protezione dei minori, che può realizzarsi solo se i “grandi” sanno ascoltare i bambini, se credono loro e mettono in atto adeguate misure di tutela. I bambini generalmente non parlano in modo diretto dall’esperienza traumatica vissuta, ma si esprimono attraverso segnali ai quali è necessario prestare attenzione”.

Il volume, garbato nello stile e chiaro nell’esposizione, affronta varie tematiche legate all’infanzia “violentata”; evidenzia come l’abuso sia stato affrontato a livello nazionale e mondiale; fornisce una infinità di informazioni che potrebbero risultare utili sia ai servizi sociali e ai tribunali che ai professionisti che affrontano, per lavoro, queste tematiche.

Un libro che informa ed educa al rispetto dei minori e che, soprattutto, evidenzia l’esistenza di strumenti per combattere l’abuso sui minori e richiama tutti – genitori, scuola, istituzioni, tribunali e società – ad essere attenti e coerenti verso i bambini.

“La prevenzione dei disagi dei bambini è rivolta al mondo adulto, quindi passa necessariamente attraverso mediazioni che non coinvolgono solo il loro mondo vitale più prossimo – la famiglia – ma anche tutti i mondi adulti che interagiscono con esso: la scuola in primo luogo, e poi il mondo multiforme e variamente articolato dei servizi sociali e sanitari”. L’autrice, con garbo, richiama alle proprie responsabilità anche i tribunali.

Questi gli argomenti affrontati: l’abuso istituzionalizzato, la vittimologia, la storia del bambino abusato e maltrattato, il maltrattamento fisico e psicologico, il bullismo e il cyberbullismo,  i genitori che maltrattano, l’adultocentrismo, le condotte omissive e l’abuso  istituzionale, le devianze minorili, la legislazione italiana.

Tanti temi e tanti stimoli per una riflessione a tutto campo senza i condizionamenti culturali e sociali e un chiaro monito: Il bambino va ascoltato, senza ideologie e senza prevenzioni. L’ascolto del minore – attraverso una acquisita competenza e sensibilità – è un imperativo che coinvolge in linea di massima tutti noi ma in modo specifico – è bene ripeterlo con l’autrice - i genitori, la scuola e le istituzione chiamate a tutelare i minori evitando loro uno stato di abbandono e di emarginazione.

Si avvertiva da tempo l’esigenza di libri che affrontassero il tema degli abusi sui minori senza prevenzioni e senza ideologie. Questo volume apre la via ad una trattazione del delicato tema dell’abuso in modo chiaro, critico e, in particolare,  in modo disinteressato. La professionista mette a servizio della collettività un vissuto che viene sempre prima della pur necessaria parcella professionale.

C’è da auspicare che l’avvocatessa Grillone continui, con altre pubblicazioni, ad analizzare le tematiche legate ai minori e al mondo delle separazioni, troppo spesso invocato e strumentalizzato per fini socio-politici. Non si può non accogliere positivamente questa riflessione critica verso tutto e verso tutti per ridare dignità ai figli e al genitore usurpato della propria genitorialità a causa dei servizi sociali, magistrati e professionisti “frettolosi”.

Chiudiamo con le parole che la madre ripeteva all’autrice quando era ancora bambina: “L’amore per i propri figli è un sentimento unico al mondo, e finché non si hanno dei figli non si sa quello che si prova”.

Parole sagge che ciascun genitore, senza presunzione di genere, dovrebbe avere scolpite nel proprio cuore e che dovrebbero essere il presupposto all’attività di tutti coloro che sono chiamati a tutelare i minori nelle varie istituzioni che, purtroppo, talvolta sminuiscono la violenza sessuale o la vedono là dove non c’è; che, per loro, la violenza è solo quella sessuale, dimenticando l’esistenza degli abusi psichici e socio-giudiziari; che penalizzano il genitore più debole e quello non collocatario;  che umiliano ed impunemente offendono il genitore accusato ingiustamente di tutto senza concedergli, di fatto, il diritto alla difesa, allontanandolo frettolosamente dai propri figli; che dai loro atti non traspare umanità e quella sensibilità che è propria, in modo chiaro, del genitore che non delega ad altri il proprio diritto dovere.

 

Caterina Grillone, Gli abusi sui minori - Il bambino, quando occorre, sa chiedere aiuto ... Ascoltalo!, Armando Curcio Editore, dicembre 2014, €. 15,90.

 
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Mercoledì 18 Marzo 2015 16:53

Succede in Liguria

Ordinaria arroganza del potere istituzionale!

 

L’inutilità dei tribunali per i minorenni e la pericolosità di alcuni servizi sociali (sarebbe meglio parlare della quasi totalità) è quotidianamente certificata dalle loro azioni che ignorano e spesso umiliano i minori che, per dovere istituzionale, dovrebbero tutelare e ai quali dovrebbero garantire i diritti ribaditi dalla Costituzione, dal Diritto civile italiano e dalla Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo.

Questi i fatti.

Una madre straniera viene privata della propria figlia di pochi anni perché il compagno italiano l’aveva denunciata per sottrazione della minore e per averle procurato un “irreversibile” danno psicologico poiché era andata  per due settimane in villeggiatura in Francia presso i propri genitori, nonni della piccolina, dove erano in ferie anche gli zii e i cuginetti che non la rivedevano dalla nascita. La madre era andata in ferie concordando il tutto con il padre e con i suoi parenti più stretti.

Un tribunale francese sbrigativamente, nell’afoso mese di agosto, emette una sentenza con la quale sostiene che la figlia deve stare in Italia dove ha l’abitazione e l’affida al padre.  La bambina viene “strappata” alla mamma per darla, di fatto, alla anziana nonna paterna che parla quasi esclusivamente il dialetto del sud e alle facinorose zie.

Inizia un calvario per la madre che va ad abitare con i propri genitori che risiedono a mille km di distanza dal paesino ligure dove viveva con l’ex compagno. Vedrà la figlia, negli ultimi quattro anni, solo in modalità protetta in presenza di una educatrice e per due incontri al mese di soli 90 minuti ciascuno. Poi si trasferirà nuovamente in una città francese vicina alla casa della bambina.

I nonni, per vedere la nipote, devono rivolgersi al tribunale per i minorenni di Genova che a sua volta delega i servizi sociali del comune dove risiedono l’ex compagno e la figlia. Per essere ascoltati si devono rivolgere anche al consolato francese di Torino.

I nonni materni per poter vedere la figlia devono recarsi nella amena e “chiacchierata” località ligure e incontrare la minore in modalità protetta, analogamente alla madre, in presenza di una educatrice e per due ore attualmente ridotte a novanta minuti, restando spesso relegati in un angusto spazio ricavato dalla divisione di un locale adibito a spogliatoio. A differenza della madre, ai nonni viene concesso di parlare in francese poiché l’educatrice conosce la lingua e può controllare ciò che la nipote e i nonni si dicono.

Gli anziani nonni, quasi ottantenni, per recarsi presso al paese dove vive la minore devono percorrere circa duemila km, viaggiare per circa venti ore e sostenere i rilevanti costi che ciò comporta. Il tutto per restare 90 minuti con la nipote che vedono una volta all’anno. Se osano chiedere ai servizi sociali di poterla incontrare anche nei giorni successivi, vista la lontananza e i costi del viaggio, viene loro risposto che il padre non è disponibile ad accompagnarla per impegni di lavoro agricolo e pertanto la loro richiesta – sollecitata anche dalla nipote che vorrebbe stare più tempo con loro - non può essere accolta. E’ opportuno precisare che il padre sovente delega i parenti (alcuni dei quali sotto indagine della magistratura) ad accompagnare la figlia agli incontri con la madre mentre lui è in palestra a curare il corpo, a fare escursioni in moto o bici o stare al bar.

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Martedì 17 Marzo 2015 16:26

19 marzo: Festa del Papà

Il trionfo dell’ipocrisia istituzionalizzata!

di Ubaldo Valentini *

Puntualmente e con disarmante ritualità si torna a celebrare con enfasi questa ricorrenza che per la maggior parte dei papà è solo una beffa.

Una beffa? Si, perché tutti sappiamo che la maggior parte dei papà è separata ed ha enormi difficoltà a vedere i figli e, di fatto, gli viene negato il suo diritto-dovere alla genitorialità nella indifferenza delle istituzioni, dei servizi sociali, dei media e delle istituzioni religiose.

Ci si ricorda di lui solo per bussare a cassa, per allontanarlo da casa per presunti maltrattamenti in famiglia senza minimamente permettergli di difendersi da accuse quasi sempre infondate e ad arte formulate anche quando per mesi non riesce a vedere e parlare con i figli o avere informazioni su di loro. Gli si toglie il diritto alla bi genitorialità,  disconoscendo i più elementari principi psicologici e pedagogici da decenni ribaditi nelle convenzioni internazionali sull’infanzia ma sistematicamente ignorate dai tribunali, dagli operatori sociali e dai nostri politici.

Quale festa per questi papà costretti a  non vedere i figli per la sola decisione della madre o a vederli in modalità protetta - cioè in presenza di educatori provenienti dalle innumerevoli cooperative appositamente fondate – per il solo fatto che hanno osato rivendicare un inalienabile diritto alla genitorialità e chiedere di parlare con i propri figli  per sapere come stanno e cosa fanno, visto che la madre non gli permette nessun contatto con loro? Il padre esiste ma solo per pretendere il suo inalienabile ruolo di bancomat.

Un business in nome della famiglia e della sua tutela tanto cara ai nostri media che sono alla continua ricerca di scoop giornalistici per far parlare le lobby dei legali, degli psicologi, delle cooperative sociali e degli onnipotenti ed incontrollati servizi sociali, dando loro spazio pubblicitario a spesa dei contribuenti e permettere loro di aumentare le parcelle o le tariffe che le istituzioni pagano.

Le problematiche dei big televisivi o degli attori separati non ci interessano poiché loro, a differenza del 99,9% dei comuni genitori separati, percepiscono lauti stipendi e possono permettersi di tutto e di più. Il padre comune non ha nemmeno i soldi per pagarsi il legale e perciò deve subire in silenzio le vessazioni delle istituzioni e dell’altro genitore.

Parlare della paternità è un controsenso quando le istituzioni con una sfacciata ipocrisia negano quasi sempre questo diritto cercando di mascherare l’indifferenza delle forze politiche e sociali che nella quotidianità offendono la dignità dei figli minori – che non contano nulla in quasi tutti i procedimenti che li riguardano – e del genitore non affidatario e collocatario.

La politica  crede di aver risolto i problemi dei separati perché ha concesso loro la possibilità di separarsi e divorziare, in certi casi, presso gli uffici comunali. Ora il parlamento sta discutendo del divorzio breve e fra poco discuterà, su delega del vaticano, anche se permettere la comunione ai separati e divorziati!

E’ a tutti palese che i veri problemi dei separati e dei divorziati sono ben altri perché quando c’è la separazione consensuale e il divorzio congiunto i rapporti tra i genitori sono buoni o comunque tollerabili e i figli non sono a rischio di “usucapione”.  Concedere il divorzio dopo alcuni mesi dalla separazione (sei mesi) a chi serve? E’ una discussione inutile poiché, nelle giudiziali, le decisioni prese nella separazione resteranno tali anche con il divorzio, quello breve, che avverrà dopo alcuni mesi. Gli unici a guadagnarci sono i legali e le strutture pubblico-private che vivono sulle disgrazie procurate dalle istituzioni ai minori e al genitore reso debole dai servizi sociali e dai tribunali. Allora è più logico eliminare la fase della separazione e passare subito al divorzio, considerato che quando si arriva in tribunale l’amore di coppia è finito.

 

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