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Venerdì 30 Agosto 2013 18:38

Garanzia di legalità e non propaganda politica

 

Provvedimenti contro i maltrattamenti in famiglia:

Quali garanzie per il cittadino?

 

Il Decreto Legge 14.08.2013 n° 93 inasprisce la repressione penale dei fenomeni di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e di atti persecutori (stalking). Sono previste aggravanti se le violenze avvengono  in presenza di minori e se sono rivolte a donne in stato di gravidanza e quando il delitto vien commesso dal coniuge, anche se divorziato o separato, o dal partner. La querela per il delitto di atti persecutori, che contemplano anche la possibilità dell’arresto obbligatorio, è irrevocabile.

Il decreto prevede, infatti, che in presenza di gravi indizi di violenza sulle persone o di minaccia grave e/o di serio pericolo di reiterazione di tali condotte con gravi rischi per le persone offese, il pubblico ministero – su segnalazione della polizia giudiziaria - può richiedere al giudice di emettere un provvedimento inibitorio urgente, vietando all’indiziato la presenza nella casa familiare e di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa. Il decreto assicura, per i familiari e conviventi oggetto dei maltrattamenti, che le parti ritenute – provvisoriamente – offese siano costantemente informate relativamente ai procedimenti in corso.

In ossequio alla Convenzione di Instambul  non ancora entrata in vigore,  la vittima di questi delitti è ammessa al gratuito patrocinio anche se ha redditi che vanno oltre i limiti previsti abitualmente per l’accesso a questo istituto.

Infine è stato varato un piano straordinario di protezione delle vittime di violenza sessuale e di genere con interventi trasversali per prevenire il fenomeno, per potenziare i centri antiviolenza e i servizi di assistenza e per formare gli operatori.

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Questo decreto, salutato come il vero rimedio contro la violenza domestica e di genere (contro le donne), così come formulato, sarà destinato a generare ulteriori confusioni sul delicato tema della violenza contro la persona. La violenza contro le donne è sempre esistita, soprattutto dopo la fine del matriarcato, ma per questo non  può essere in nessun meno tollerata e giustificata. Chi commette questi reati deve essere condannato senza nessun sconto. Il problema, però, non si risolve inasprendo solo le pene e dando vita ad una miriade di strutture (osservatori, centri di ascolto e accoglienza, ecc.) costose e di parte – che col tempo si rivelano quasi sempre veri e propri baracconi clientelari - così come è avvenuto per le Pari Opportunità che, in tutt’Italia, hanno finito per discriminare gli uomini e per portare avanti una arcaica politica femminista, danneggiando, di fatto, la stessa donna.

La violenza contro la persona è un fenomeno complesso, difficile da interpretare e da reprimere, che si manifesta con modalità diverse e con sofisticate sfaccettature e che, soprattutto, va ben oltre la pura sfera poliziesca e giudiziaria. E’ una cultura intera che deve cambiare e che deve rimettersi in discussione: una cultura dove anche la donna ha responsabilità non marginali.

La politica – che predilige l’apparire piuttosto che l’essere – deve fare scelte coraggiose di equità sociale, di rispetto della persona, di legalità e non può solo gettare fumo negli occhi dei cittadini con il solo fine di acquisire consensi elettorali e con il tacito e compiaciuto assenso di una certa informazione che punta al solo scoop e al gossip.

Le tragedie umane hanno sempre un retroscena spesso volutamente ignorato o mistificato. Alla radice di certi reati  esiste una rete di concause le cui responsabilità vanno ricercate soprattutto nella società. Certi episodi non si giustificano in nessun modo ma nemmeno si può pensare che gli artefici siano tutte persone fuori di senno o violenti di natura: cose queste che non restano quasi mai celate prima della tragedia. Certe predisposizioni alla violenza esistono fin dall’infanzia ma spesso è la società e il contesto familiare in cui il futuro reo cresce ad alimentarle ed ampliarle. La stessa donna, talvolta, vuole convivere col proprio carnefice e ciò è sintomo che in lei esistono reali difficoltà psicologiche. Tutte le istituzioni pubbliche e private, dinnanzi a fatti inaccettabili, non possono trincerarsi dietro al non sapevo, non vedevo, non pensavo.

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C’è da sperare che il Parlamento modifichi profondamente questo decreto legge nella parte in cui le accuse di violenza familiare e di genere non sono verificate dall’autorità giudiziaria poichè è indispensabile che sia garantito a tutti il diritto al contradditorio e alla certezza della difesa, prevedendo pesanti sanzioni e risarcimenti per chi dichiara il falso. In ogni caso, è indispensabile la verifica delle accuse e non si può punire sulle illazioni. Prevenire non vuol dire togliere arbitrariamente la libertà, soprattutto in uno Stato dove i giudici non hanno responsabilità civile e dove è quasi impossibile richiamare alle proprie responsabilità civili e penali alcuni membri delle forze dell’ordine che abusano del loro potere.

Le valutazioni che seguono si riferiscono alle lacune che si riscontrano nel decreto; non vogliono giustificare in alcun modo la violenza fisica, psicologica e sessuale, ma nemmeno vogliono che si usino due pesi e due misure nell’amministrazione della giustizia.

La certezza della colpa è alla base di qualsivoglia condanna preventiva e di qualsiasi provvedimento di restrizione della libertà. Preoccupazioni queste che non sembrano essere presenti  nel decreto governativo. In questo marasma politico era importante cavalcare temi cari ad una sinistra e ad una destra “forcaioli” e non tanto quello di tutelare la persona, indipendentemente dal sesso e dalla sua collocazione sociale.

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La donna viene trattata come oggetto e non come soggetto

 

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Mercoledì 28 Agosto 2013 16:00

Cosa pretendere da un legale


Caro avvocato, quanto costi?

 

Sono un genitore che, in dieci anni di procedimenti giudiziari, pensavo di vedere riconosciuto il mio diritto ad essere padre e ad avere una giustizia economica nel mantenimento dei figli. Ho speso inutilmente cifre con quattro zeri tra parcelle ai legali, CTU, consulenze varie proposte dal mio legale e dai servizi sociali. L’alternativa sarebbe stata quella di rinunciare al mio diritto alla paternità. Ho chiesto aiuto ai miei genitori, ai miei fratelli e ai cognati e così ho potuto sostenere queste spese poiché il mio stipendio, seppure fosse un buon stipendio, era insufficiente.

In tutti questi anni  ho cambiato tre legali (due matrimonialiste e un giovane professionista) senza vedere riconosciuti i miei diritti di genitore che chiedeva solo di poter fare il padre e stare con i propri figli. A ciascun legale ho sempre chiesto un preventivo di spesa per il procedimento, ma la risposta è stata sempre la stessa: “se lei ha fiducia in me non c’è bisogno di un preventivo. Non posso prevedere l’evoluzione della causa, la sua durata e gli atti da fare e non posso prevederne i costi. Comunque le verrò incontro e mi pagherà mensilmente con piccole rate. Non sono un cane e le darò una mano sui costi”. Per non urtare l’avvocato, trovandoti in una situazione difficile,  accetti tutto e non pensi alle somme che poi pretendono da te.

Puntualmente la mano mi è stata data ma per chiedere esose parcelle. Un legale mi ha perfino minacciato di farmi il pignoramento dello stipendio se non pagavo subito per un procedimento puntualmente perso, il quale, in caso di inadempienza, sarebbe stato aggravato anche delle ulteriori spese accessorie.

I figli, crescendo e valutando il comportamento materno, un bel giorno si sono presentati a casa mia per stare definitivamente  con me. Ciò ha comportato un nuovo procedimento poiché la madre non voleva rinunciare a ottocento euro al mese di mantenimento e non voleva mantenere i figli che non vivevano più con lei,  non voleva restituirmi la mia casa dove felicemente viveva con il suo amante. Il tribunale non ha potuto fare altro che prendere atto della volontà dei miei figli ed ha stabilito un assegno di mantenimento a carico della madre di euro seicento al mese, oltre alle spese straordinarie al 50%. Preciso che la mia ex-moglie guadagnava, allora, sui tremila euro al mese; ha due appartamenti di sua proprietà, mentre io avevo solo un appartamento dove stava lei con i figli e l’amante e percepivo uno stipendio da statale di 1.600 euro al mese. Giustizia avrebbe voluto che lei mi versasse come assegno di mantenimento per i figli lo stesso importo mensile che io le versavo, pur avendo redditi che erano il doppio dei miei.

I figli hanno riacquistato quella loro serenità che nemmeno i servizi sociali avevano preso in considerazione e questo è quello che conta per me.

In questo ultimo anno ho incontrato tanti padri separati e sono venuto a conoscenza delle loro dolorose vicende familiari che sono, però, tanto simili fra loro. Ho deciso di fare una riflessione sui costi dei legali, sul fiorente mercato delle separazioni, sull’inutilità dei servizi sociali, sul business sull’evasione fiscale e sull’impossibilità per tanti genitori a far valere i propri diritti perché i legali costano tantissimo e perché le istituzioni sono latitanti su queste problematiche.

Prendo in esame solo l’aspetto legale e tengo a precisare che non tutti i legali si comportano allo stesso modo, ma la maggioranza di loro, in barba alla deontologia professionale, hanno un atteggiamento arrogante e vessatorio nei confronti del cliente separato o separando, sia esso uomo che donna, e al mal capitato cittadino non resta che organizzarsi affinché la giustizia sia un diritto per tutti ed affinché finiscano certe baronie professionali. Questo è il senso della riflessione-denuncia che segue. Per la professione che svolgo mi è stato possibile informarmi su quanto scrivo e  documentarmi sulle leggi e sulla giurisprudenza vigente. Allego alcuni documenti e fac-simili che potrebbero risultare utili a chi si trova in difficoltà.

 

a. Obbligatorio il preventivo dei costi del procedimento giudiziario

Vi sono dunque tre sistemi di tariffazione: a) a percentuale sull'esito della causa (patto di quota lite);  b) a forfait (sia come somma unica ma anche come somma annuale);  c) secondo la tariffa forense. In assenza di specifico accordo scritto, nonostante le disposizioni di legge, si continuano ad applicare le tariffe forensi che prevedevano un minimo ed un massimo per ogni attività professionale resa dall'avvocato, a seconda delle circostanze del caso concreto (difficoltà, impegno richiesto, importanza, condizioni patrimoniali dell'assistito, ecc.). Il tribunale, se chiamato a liquidare la vertenza, fa riferimento a tariffe nazionali stabilite per legge.

Le parcelle variano da legale a legale e sono pochissimi sono i professionisti che propongono al cliente un preventivo di spesa per ogni singolo procedimento giudiziario, che sia equo, trasparente e rispettoso di tutti i diritti del cliente stesso, compreso quello del recesso senza penale.

Il preventivo dei costi – a seguito del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, "Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività" - è obbligatorio a partire dal 25.1.2012 per tutti coloro che esercitano una professione regolamentata, i quali prima di ricevere l’incarico devono comunicare al cliente tutte le informazioni che riguardano i costi a vario titolo collegati alle singole attività professionali che prevedono di dover svolgere per adempiere l'incarico ricevuto (onorario, bolli, diritti, ecc., viaggi, vitto, alloggio) (vedi allegato)

Il preventivo verrà rilasciato in forma scritta solo se richiesto dal cliente. I professionisti dovranno comunicare ai clienti anche i dati della loro assicurazione per danni derivanti da attività professionale, se esistente. Chi non rispetterà tale obbligo, incorrerà in sanzioni disciplinari.

Le proposte di contratto - quasi tutte - contengono clausole capestro per il cliente e senza le dovute precisazioni scritte – come nel fac-simile allegato - non deve essere sottoscritto.  Vediamone alcune:

1. Il contratto di incarico deve

a. contenere dettagliatamente tutte le possibili attività da svolgere e i relativi costi, come pure le possibili spese vive

b. prevedere solo i costi dei singoli interventi (listino prezzi) e solo alla fine verrà compilata, in base alle voci del contratto, la parcella del professionista

c. deve risultare chiaramente chi seguirà in prima persona il procedimento

Il cliente non sa, di fatto, quale professionista seguirà il suo procedimento giudiziario poiché il contratto proposto dal legale prevede che “il professionista potrà delegare lo svolgimento della prestazione a terzi collaboratori o sostituti, sotto la sua responsabilità”. Quindi ogni udienza può essere seguita da un legale diverso, il quale, come sovente avviene anche oggi,  non sa quasi nulla del procedimento  e spesso viene solo informato verbalmente il giorno prima o la mattina stessa dell’udienza. Le sostituzioni vengono fatte, quasi sempre, perché il titolare del procedimento è impegnato, in quel giorno, in altri procedimenti da lui ritenuti più importanti.

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Mercoledì 31 Luglio 2013 17:50

Cosa pretendere dal Tribunale e dalla Ctu

di Ubaldo Valentini *

I legali - sollecitati dai propri clienti, dagli stessi servizi sociali nella speranza di salvaguardare il primario interesse dei figli nelle separazioni giudiziali -  sollecitano il giudice istruttore a nominare una consulenza tecnica d’ufficio (Ctu) per avere delle indicazioni nelle scelte da prendere. Tale procedura sembra obbligata quando tra i coniugi non c’è dialogo e, soprattutto, tutte le volte che un genitore cerca in tutti i modi di estromettere dalla vita dei propri figli l’altra figura  genitoriale di riferimento.

E’ noto – forse  non a tutti i servizi sociali e alla maggior parte dei giudici – che la conflittualità tra i genitori è provocata quasi sempre dal genitore affidatario-collocatario e che l’altro non può rinunciare al diritto-dovere proprio e dei figli alla bigenitorialità - effettiva - che si esplica nel rispetto delle pari opportunità genitoriali con una presenza accanto a loro  paritetica nei tempi e significativa negli indirizzi educativi e decisionali.

Occorre premettere che la Consulenza ha una sua ritualità formale che, vuoi per formazione culturale o vuoi per prevenzioni ideologiche del professionista, purtroppo sovente elude la risposta al quesito che il giudice pone  per avere lumi sulle delicate e specifiche questioni sollevate dalla separazioni in discussione. A tal fine, come associazione, siamo nettamente contrari alle Ctu date a professionisti senza specifiche competenze in materia di psicologia dell’età evolutiva e della psichiatria infantile e a professionisti – spesso sempre i soliti – che sono alle dipendenze delle pubbliche strutture socio-sanitarie o che sono pensionati di tali enti.

Gli elenchi dei consulenti a disposizione del tribunale devono essere aggiornati tenendo conto dell’effettivo lavoro svolto, della competenza dimostrata nell’espletare tale incarico, della obiettività delle conclusioni  e della reale utilità delle loro relazioni per la giustizia e per la tutela degli interessi dei minori. In questo campo non possono essere tollerati errori e/o imparzialità.  Troppo spesso al titolo professionale come in tutti i settori, non corrisponde una  effettiva competenza.

 

Ogni genitore separato ha il dovere di pretendere – personalmente o tramite il proprio legale – il rispetto della oggettività dell’indagine. In specifico, il giudice che conferisce  l’incarico al professionista deve pretendere dallo stesso che:

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Venerdì 28 Giugno 2013 12:29

L’autore dell’articolo da anni si batte per una Giustizia minorile in Italia che non umili il minore stesso  - e i genitori - con procedure non definite in un preciso Protocollo di intesa che determini finalità, tempi,modalità e  costi del percorso protetto che si va ad attuare. in ogni tribunale dovrebbero esistere tale protocollo e poiché non esiste, sarà necessaria un’azione per indurre Tribunali, Enti locali e Servizi sociali a darsi regole chiare e certe, garantendo quella trasparenza che oggi non esiste. E’ diritto di ciascun genitore pretendere tale trasparenza da chi predispone e da chi esegue il percorso protetto nelle separazioni e nei casi in cui un genitore manipola i figli per indurli a rifiutare l’altro genitore. Oggi, nei tribunali, l’attivazione dei “percorsi protetti” è una prassi generale che garantisce le istituzione piuttosto che i minori e il genitore.

 

LE LACRIME DI UN BAMBINO NON BASTANO PIU'

Avv. Gerardo Spira


Del cosiddetto percorso protetto la legge non ne parla e nel DPR  n. 616 del 1977 si parla in generale della  materia dell'assistenza  sociale  affidata ai Comuni. La delega ne prevede la competenza disciplinare alle Regioni.

Le leggi regionali, pur intervenendo sul tema dell'assistenza sociale, lo hanno trattato in via generale negli aspetti più marcatamente avvertiti, delegando ai Comuni l'organizzazione strumentale di supporto alle Istituzioni come la Magistratura.

Non troviamo alcuna disciplina riguardante la tutela del minore nei rapporti con la famiglia e con i genitori separati o divorziati. Troviamo invece molto approfondito l'argomento sui minori dalla legislazione internazionale e da quella Europea come:  La Carta delle convenzioni internazionali, le direttive europee, la Carta di Noto, le linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, la Scheda dei diritti umani, leggi e documenti che insistono sull'obbligo di prestare ascolto al minore, di rispettare la sua personalità e i suoi diritti.

L'art 9 ”Convenzione dei diritti dell'infanzia O.N.U 1989 M.Y.” stabilisce che il bambino deve mantenere relazioni personali e contatti diretti in modo regolare con entrambi i genitori, salvo quando è contrario al maggior interesse del bambino”.

Dunque la convenzione privilegia due condizioni: le relazioni personali con entrambi i genitori  e il superiore interesse del minore.

Gli operatori, giudici e servizi, hanno l'obbligo di indirizzare le norme in tale direzione.

E' violazione di legge  quando si toglie un genitore al minore. E' un abuso quando si impone un percorso protetto al genitore col quale il minore vive ottima relazione. Nell'uno e nell'altro caso giustizia e servizi si muovono contro il superiore interesse del minore.

Che cosa è il percorso protetto!

È un cammino imposto, in spazi neutri, a sostegno dei diritti dei bambini e degli adolescenti per il mantenimento della relazione con i genitori non collocatari.

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Venerdì 03 Maggio 2013 15:43

La PAS è una diffusa realtà


La sindrome da alienazione parentale, la PAS, non è una invenzione dei padri separati – sovente etichettati come maschilisti e collerosi verso la propria ex-partner - che accusano la madre dei propri figli di metterglieli contro dopo la separazione. Il padre, con la fine del rapporto affettivo con la propria moglie e partner, deve lasciare la casa familiare (se regolarmente coniugato, la deve lasciare anche quando è di sua esclusiva proprietà), vede i figli in orari standard - stabiliti da tribunali “stanchi” - che spesso  non tengono conto dei suoi impegni lavorativi e delle reali esigenze psico-affettive ed educative dei minori.

E’ facile, per la madre affidataria o collocataria, esercitare una pressione psicologica subdola sui figli che vivono con lei, inducendoli, lentamente, a rifiutare l’altro genitore dipinto come la causa delle loro sofferenze, come colui che egoisticamente li ha abbandonati, magari per stare con un’altra donna.

I figli non hanno la possibilità di verificare la veridicità delle affermazioni loro fatte e pertanto sono portati inconsciamente ad assumere il ruolo di unici tutori della madre contro il padre “cattivo” e talvolta anche “mostro”. Per punirlo, si rifiutano di incontrarlo e di parlare con lui al telefono. Questa strategia, talvolta, serve alla madre anche per introdurre in casa senza difficoltà il padre “alternativo” che sarà così pienamente accettato dai figli. Se il padre, poi, si è rifatto una famiglia, se ha altri figli e se accoglie in casa oltre alla nuova compagna anche i suoi eventuali figli, ciò fa buon gioco per la madre che, agli occhi dei figli, dà fondamento alle proprie accuse verso l’altro genitore.

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Venerdì 19 Aprile 2013 16:53

LE RICHIESTE DEI SEPARATI AI POLITICI  PER LE REGIONALI

I separati della Valle d’Aosta esprimono precise richieste ai politici che si candidano per la gestione della regione. La preferenza, nel segreto dell’urna, andrà a quelle forze politiche che avranno fatto proprie e messe nei loro programmi alcune delle proposte formulate dai soci dell’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori poiché le drammatiche problematiche dei separati non possono continuare ad essere ignorate da chi amministra la cosa pubblica.

La gestione della separazione non è solo un affaire dei tribunali e dei servizi sociali, ma investe pienamente tutta la comunità locale a cominciare dalla politica a cui compete progettare e trasformare la società, tutelandone la parte più debole e indifesa e renderla, così, sempre più a misura d’uomo.

Le separazioni sono una emergenza sociale che, continuando ad ignorarla come si fa oggi, procurerà danni sui nostri figli e comprometterà il futuro stesso della società. La maggioranza dei  minori di oggi vivono direttamente, o di riflesso, la scissione della famiglia con tutte le conseguenze che ciò comporta soprattutto per il venir meno della bigenitorialità come valore insostituibile nella formazione dei futuri cittadini.

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Mercoledì 10 Aprile 2013 17:42

Dopo 17 anni nulla è cambiato ad Aosta e in Italia


Il colore giallo simboleggia il sole, il calore, la luce, la bontà, la capacità intellettuale. Per gli antichi il giallo, dorato, era il simbolo della sacralità e della divinità. Le persone di Aosta, dopo quel tragico giorno di Pasqua del 1996, portavano un fiore giallo - preso nei giardini e lungo i campi - sul luogo dove Antonio Sonatore si era dato fuoco, sopraffatto dal dolore per la negata paternità. Domenica 7 aprile 2013 alle ore 12 alcuni soci dell’”Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori” assieme ad altre persone hanno deposto una corona e singoli mazzetti di fiori gialli davanti al Tribunale di Aosta per ricordare questo padre che lottava per stare in modo significativo con la propria figlia e tutti i genitori – padri e madri – che, nel totale sconforto per non poter stare e provvedere ai propri figli, sono stati  sopraffatti dalla solitudine  e si sono tolti la vita.

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Mercoledì 03 Aprile 2013 16:44

Un fiore per un amaro silenzio

A partire dal 2006, ogni anno e in tutto il mondo il 7 aprile si tiene il World Memorial Day (Giornata Mondiale della Memoria) per ricordare tutti i padri separati che si sono suicidati per il dolore di essere stati privati dei figli. La data non è casuale ma ricorda il  giorno in cui dinnanzi al Tribunale di Aosta nel 1996 il primo padre separato, Antonio Sonatore, si suicidò, dandosi fuoco per protestare contro il giudice che gli aveva negato il diritto di vedere sua figlia.

Da tempo soci e  cittadini aostani, ex-alunni che hanno conosciuto da vicino questo padre che lottava per far valere il suo diritto alla paternità mentre le istituzioni lo ignoravano anche dopo la sua tragedia, ci chiedono con insistenza che il 7 aprile sia anche ad Aosta – come lo è in tutto il mondo – l’occasione per riflettere sulla difficile situazione dei padri separati che troppo spesso sono vittime di pubbliche istituzioni frettolose, talvolta non rispettose delle pari opportunità nel diritto di famiglia e che  non sempre tutelano il diritto dei minori alla bigenitorialità.

Sono passati 17 anni da quell’estremo gesto di Antonio Sonatore che cercava una diversa presenza delle istituzioni e parte della città che conta, le quali, invece, preferivano una diversa logica operativa più ideologica e di opportunità.

Chi protesta pubblicamente per una causa giusta – ieri come oggi - è scomodo soprattutto per le istituzioni e per coloro che ideologicamente operano nei tribunali e nei servizi sociali ma non sempre sono animati dal sentimento di rispetto dell’uguaglianza sociale e genitoriale. Le istituzioni hanno immediatamente estromesso dalla memoria civica quel gesto perché ritenuto, forse, un atto di cui vergognarsi. Altra assurdità!

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