Venerdì 19 Febbraio 2016 16:31 |
Sull’operato del Centro antiviolenza di Terni
chiesti chiarimenti alla Giunta regionale
Il Consigliere regionale Sergio De Vincenzi con una interrogazione urgente alla Giunta regionale chiede “chiarimenti sui Centri antiviolenza operanti nel territorio regionale e chiede di conoscere gli intendimenti della Giunta regionale per garantire forme di controllo sul loro operato e sul loro funzionamento”.
Nella interpellanza si fa esplicito riferimento al Centro antiviolenza di Terni “Liberetutte” e alle strutture parallele dallo stesso gestite, partendo dalla triste vicenda di quel padre naturale falsamente denunciato dalla convivente extracomunitaria per maltrattamenti in famiglia contro di lei e contro il loro figlioletto di appena due anni, costretto a non vedere il figlio per tanto tempo.
La signora si allontana dalla casa familiare perché, a suo dire in presenza di una pattuglia, non voleva stare più in quella casa ed escludeva di aver subito maltrattamenti fisici. Aveva già concordato con una associazione di Orvieto la sua accoglienza nella casa famiglia “Libera…mente Donna” gestita dal Centro antiviolenza ternano. Il padre, per non disorientare il bambino, si era offerto di andarsene lui dalla sua casa, ma lei non accettò perché asseriva di sentirsi a rischio. La vera ragione era che voleva fare la sua vita e voleva un cospicuo assegno di mantenimento per il figlio.
Il padre verrà a sapere dove si trovava il suo figlio solo dopo cinque mesi, perché anche i servizi sociali si rifiutavano di dargli informazioni. Rivedrà il minore, con modalità protetta per 90 minuti alla settimana e dovendo percorrere oltre duecento chilometri ogni volta, solo dopo sette mesi in presenza di una educatrice, che vietava al padre di portare al figlio piccoli regali e lo ha ripreso energicamente perché gli aveva dato una caramella e perché, a suo dire, era un modo per corrompere il proprio figlio!!???!
Il giorno dopo il suo allontanamento, con una dichiarazione spontanea ai carabinieri del luogo, parlava di maltrattamenti verbali e fisici, di un compagno alcolizzato e drogato (fatti smentiti dall’intero paese e dai risultati del Sert) che costituiva un pericolo fisico per sé e per il figlio; dopo una quindicina di giorni presentava una pesante denuncia contro il padre di suo figlio chiamando a testimoniare le sue amiche.
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Martedì 16 Febbraio 2016 18:44 |
Il caso del Centro antiviolenza di Terni
diventa un caso politico alla regione Umbria
Interrogazione urgente
del consigliere regionale De Vincenzi Sergio
I Centri antiviolenza operanti nel territorio regionale. Intendimenti della Giunta regionale per garantire forme di controllo sul loro operato
- Premesso che i centri antivioienza costituiscono un prezioso strumento per il sostegno e la protezione delle donne e dei minori vittime di violenza;
- Premesso che in Umbria i Centri Antivioienza sono stati costituiti a seguito dell'adesione al progetto del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri "Avviso per il sostegno ai Centri Antiviolenza ed alle strutture pubbliche e private finalizzato ad ampliare il numero di servizi offerti alle vittime la cui incolumità sia particolarmente a rischio e per l’apertura di Centri antiviolenza a carattere residenziale nelle aree dove è maggiore il Gap tra la domanda e l’offerta”;
- Premesso, altresì, che i centri antiviolenza assicurano, tra l'altro, un'importante funzione di promozione e di organizzare di iniziative di sensibilizzazione e d'informazione per la prevenzione ed il contrasto della violenza di genere;
- Preso atto, tuttavia, in base a quanto riportato dalla stampa locale e da alcuni siti internet, della vicenda accaduta nel temano che ha visto coinvolto il padre di un bambino di appena due anni accusato dalla compagna di maltrattamenti verso di lei e verso il proprio figlio;
- Preso atto, più in particolare, che la donna, in accordo con un centro antiviolenza, si sarebbe allontanata dall'abitazione coniugale unitamente al figlio e sarebbe stata accolta in una residenza protetta di Terni perché vittima di maltrattamenti da parte del compagno;
- Preso atto, altresì, che la medesima donna avrebbe denunciato alle competenti autorità il proprio compagno per violenza e maltrattamenti in famiglia contro di lei e contro il figlio e si sarebbe rivolta, inoltre, al Tribunale per i minorenni di Perugia per chiedere la decadenza della responsabilità genitoriale del padre;
- Preso atto, a quanto consta, che il padre sarebbe stato tenuto all'oscuro per mesi di dove si trovasse il figlio e, anche successivamente, lo avrebbe potuto incontrare solo per brevi periodi e, per di più, in modalità protetta;
- Preso atto che, di fatto, all'esito del procedimento giudiziario il Giudice per le indagini preliminari ha archiviato la denuncia proposta dalla donna per l'assenza di elementi comprovanti gli asseriti maltrattamenti;
- Preso atto, altresì, che anche il Tribunale per i minorenni di Perugia ha rigettato 1istanza della donna volta ad ottenere la decadenza della responsabilità genitoriale patema;
- Preso atto, tuttavia, che nonostante il fatto che l'Autorità Giudiziaria abbia archiviato la denuncia la donna continuerebbe ad essere ospitata con il figlio in un centro antiviolenza senza alcuna apparente motivazione;
Tutto ciò premesso e considerato.
INTERROGA
la Giunta regionale per conoscere:
- se ha mai erogato contributi ai centri antiviolenza operanti nel territorio regionale e, in caso affermativo, a quanto ammontano tali erogazioni negli ultimi tre anni;
- se e come la Regione opera una verifica della correttezza dell'impiego dei finanziamenti eventualmente erogati;
- quanti sono stati gli interventi effettuati ed il numero di donne e di minori stati accolti nei centri antiviolenza della regione;
- quali forme di controllo sono state intraprese o si intende intraprendere per verificare la correttezza dell'operato dei centri antiviolenza sia in termini di spesa che dei servizi erogati.
Perugia, 5 febbraio 2016
Il Consigliere Regionale Sergio De Vincenzi – Gruppo consiliare “Ricci Presidente” |
Mercoledì 10 Febbraio 2016 11:16 |
Case famiglia, comunità protette, famiglie affidatarie
Un business per tanti e senza nessun controllo
Dagli orfanotrofi alle case famiglia, agli istituti protetti e alle famiglie affidatarie il passaggio è stato breve e da un ruolo supplente di certe strutture di volontariato si è passati a strutture “razionalizzate” e finanziate con tanti soldi inserite in un piano di politiche sociali. Ciò ha comportato la reinvenzione del ruolo dei servizi sociali che da interventi assistenziali generici sono divenuti “gestori” delle problematiche sociali, soprattutto minorili e familiari. Tutto bene, si dirà. Ma non è stato così perchè si è costituita una casta che fa il bello e il brutto tempo nella gestione delle emergenze e, purtroppo, anche nel crearle anche laddove non esistono.
La politica va a nozze con questa istituzione della pubblica amministrazione che, assieme ai vari centri di genere e delle strutture legate alla tutela dei minori e della famiglia da essa “protetta”, porta consensi elettorali e - perché no? - anche tanti soldi nelle tasche di chi non ne ha diritto. Questo spiega perché i vari assessori regionali e comunali, come i responsabili delle istituzioni, si arrabbiano se si chiede loro chiarezza, trasparenza e controlli veri. Per loro tutto va bene a prescindere delle evidenti incongruenze. Questo modo di fare, però, alimenta solo i dubbi sulla loro opportunità di esistere così come funzionano attualmente.
E’ ormai inderogabile una gestione trasparente dei servizi che tanto costano alla collettività e che spesso sono dannosi anche a chi dovrebbero essere tutelati. Occorre, in primo luogo, vedere e sapere chi sono i “padroni” di tutte queste strutture, quali collegamenti possano esistere con i politici che amministrano la cosa pubblica e con i dipendenti della pubblica amministrazione e quali lobby di fatto gestiscono questa importante fetta dei servizi sociali.
Fatta chiarezza ed eleminato qualsiasi dubbio, l’amministratore pubblico non può eludere l’obbligo di mettere in campo un protocollo d’intesa per la gestione dei servizi sociali e delle varie strutture ad essi collegate, determinandone finalità, relative modalità attuative, tempi precisi e non discrezionali, oltre ai modi e tempi delle verifiche obbligatorie. Precisate le modalità di operare è possibile anche il monitoraggio della loro efficienza tramite una commissione valutativa, professionalmente competente ed esterna ai servizi sociali stessi e all’assessorato di riferimento.
Fare chiarezza vuol dire eliminare eventuali inefficienze e allontanare dal servizio persone ed interessi che nulla hanno a che vedere con il servizio da erogarsi.
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Martedì 09 Febbraio 2016 10:12 |
Orfanotrofi. Umiliati e offesi
In Italia le strutture per minori sono un mondo opaco, dimenticato dalla legge e dall'opinione pubblica. Tantissimi bambini lasciati nelle comunità, perché darli in adozione significa far perdere la retta all'istituto che li ospita. Anni perché i tribunali prendano decisioni
di Lidia Baratta*
Figli dello Stato. Figli di nessuno. I minori, orfani o allontanati dai genitori, parcheggiati nelle case famiglia e nelle comunità di tutta Italia sono circa 30-35mila (anche se dati certi non ne esistono). Bambini alle prese con la burocrazia già a uno, due, tre, quattro anni. Entrano in una struttura, in attesa di tornare a casa o essere adottati, e non sanno quando ne usciranno. Incastrati in un mondo nebuloso fatto di cooperative, istituzioni, servizi sociali e tribunali in cui circolano fiumi di denaro. Un miliardo di euro l’anno, o forse più. Delle strutture che li ospitano non si sa neanche quante siano – il Garante per l’infanzia ha pubblicato la prima raccolta dati sperimentale solo a novembre 2015. Né si sa quanto costino davvero alle casse pubbliche, visto che le rette da pagare variano dai 40 ai 400 euro al giorno. Erogate finché il minore resta tra le mura della comunità. E un bambino adottato in più, significa sempre una retta in meno.
La media di permanenza nelle strutture è di circa tre anni. Anche gli affidamenti temporanei, che dovrebbero durare al massimo due anni, spesso vengono rinnovati diventando sine die. In attesa di un decreto del tribunale dei minorenni che, a volte, non arriverà mai. Tant’è che su diecimila coppie che chiedono di adottare un bambino italiano, solo una su dieci alla fine ci riesce (leggi l'articolo sul disastro delle adozioni in Italia)
Business case famiglia. Niente controlli, niente trasparenza. Si spendono fino a 150 mila euro l'anno a bambino
Quelli che chiamavamo orfanotrofi, con i letti e castello e le camerate comuni, in teoria dal 2001 non dovrebbero esistere più. Ora si parla di case famiglia, dove una coppia ospita un numero ridotto di minori cercando di riproporre la formula familiare. O di comunità, educative o terapeutiche, gestite da addetti ai lavori. Ma in questo caso siamo alla vecchia formula che doveva scomparire e che invece rimane: è cambiato solo il nome.
La retta per ogni bambino ospitato viene pagata dai Comuni. Ma un tariffario nazionale di riferimento non esiste. Ognuno fa a modo suo, come se si trattasse di un mercato qualunque. Le rette più basse si pagano al Sud, dove si toccano anche i 40 euro al giorno. Quelle più alte vengono richieste nelle comunità terapeutiche, giustificate anche dalla presenza di personale più qualificato, oltre che di psicologi e psichiatri incaricati dalle Asl. Ma anche qui le escursioni di prezzo sono enormi: da 70 fino a oltre 400 euro. Per un totale di 150mila euro all’anno per un solo bambino. E i Comuni pagano. Quando non se lo possono più permettere, le strutture chiudono e i bambini vengono parcheggiati altrove, dove c’è qualcun altro disposto a pagare. Come è successo alla comunità “Hansel e Gretel” di Vallo della Lucania, in provincia di Salerno.
La retta per ogni bambino ospitato viene pagata dai Comuni. Ma un tariffario nazionale di riferimento non esiste. Ognuno fa a modo suo, come se si trattasse di un mercato qualunque. Si va dai 40 fino ai 400 euro. Per un totale di 150 mila euro all’anno per un solo minore
«Spesso le somme richieste non sono giustificate», dice Cristina Franceschini, avvocato e presidente della onlus “Finalmente liberi”. «Sono somme che i comuni potrebbero versare alle famiglie in difficoltà per attuare un progetto alternativo ed evitare che i figli vengano allontanati». Il collocamento del bambino nella comunità deve essere l’ultima soluzione. Lo dice anche il garante per l’infanzia. Ma sempre più spesso diventa la prassi.
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Venerdì 05 Febbraio 2016 16:52 |
Abolizione dei Tribunali per i minorenni
Verranno costituite sezioni speciali nei Tribunali ordinari
Stesso personale, stesse incompetenze, stessi stipendi !
Il Parlamento sta discutendo della riforma della giustizia e un emendamento del presidente della commissione giustizia, on. Ferrante, propone l’abolizione dei tribunali minorili, trasferendo le loro competenze - comprese le Procure della Repubblica c/o i tribunali minorili – ai Tribunali e Corti d’Appello che istituiranno sezioni specializzate per la persona, la famiglia e i minori. I tribunali per i minorenni hanno sezioni e ciascuna ha quattro giudici: due togati (di cui uno relatore) e due onorari esperti in pedagogia o psicologia.
Il personale verrà trasferito nelle sezioni specifiche create nei tribunali ordinari e verrà garantito loro lo stesso stipendio. Cosa cambierà? Nulla perché resterà sempre lo stesso personale con pregi e difetti, anzi, in molti casi, con le stesse incompetenze.
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Venerdì 05 Febbraio 2016 16:50 |
Grande dibattito sulle adozioni gay
ma dimenticano i figli dei separati
di Ubaldo Valentini
Da settimane i politici, le associazioni e le varie confessioni religiose discutono sulle adozioni gay. Ovviamente ognuno dal proprio punto di vista. Per fini elettoralistici, essendo alle porte le amministrative, c’è l’urgenza di fare questo salto in avanti per cancellare ataviche incrostazioni culturali che, a dire di molti, sono la negazione della civiltà odierna. La polemica o meglio il gioco delle parti non ci interessano anche perché la nostra associazione lotta da diciannove anni per la tutela dei diritti dei minori ad avere un padre e una madre e per il diritto alla genitorialità del genitore troppo spesso estromesso dalla vita dei propri figli.
Il governo e il partito che lo guida si vanta di aver apportato modifiche alle separazioni, riducendo di trenta mesi il tempo necessario per il divorzio e, in casi specifici, di aver delegato ai comuni la materia. Parliamo sempre di gestione di separazioni e divorzi tranquilli. La realtà, però, è ben diversa.
La conflittualità, alimentata spesso dal genitore collocatario/affidatario, riguarda la maggior parte delle coppie non più conviventi e tutti lo sanno, compresi i volutamente distratti politici. Tale conflittualità troppo spesso è provocata dai tribunali che non decidono o formulano provvedimenti iniqui e penalizzanti in primis i minori e il genitore che non vive con loro.
Ci sono poi i servizi sociali investiti “abusivamente” di un ruolo decisionale che spetta esclusivamente al giudice, come ci ha ricordato più volte Strasburgo. La maggior parte degli operatori dei servizi sociali sono arroganti, presuntuosi, ideologicamente schierati e paladini della superiorità di genere nell’educazione dei figli. Sottraggono i figli ai legittimi genitori (per favorire strutture a loro collegate o collegate al partito di cui loro sono collettori di voti) o al genitore che osa chiedere il rispetto del proprio diritto ad una genitorialità equa.
Non parliamo della maggioranza dei giudici onorari, presenti nei tribunali minorili e nelle sezioni minorili delle corti d’appello, che dovrebbero affiancare i giudici con la loro esperienza scientifica e professionale ma che di fatto finiscono per sostituirli. Nessuno, proprio nessuno, valuta la professionalità e preparazione scientifica di questi giudici e degli operatori dei servizi sociali indispensabili per affrontare problematiche delicate che, se mal poste, finiscono per produrre danni irreversibili nei minori.
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Lunedì 25 Gennaio 2016 19:13 |
Al Dipartimento Pari Opportunità
La verità fa male!
Il Dipartimento delle Pari Opportunità, a cui compete verificare come vengono utilizzati i soldi pubblici erogati ai vari Centri antiviolenza, non sembra particolarmente propenso a fare controlli sul loro impiego. Una madre convivente abbandona la casa familiare con il figlio di due anni perché, a suo dire, non voleva più vivere in quella casa. Ai carabinieri da lei chiamati conferma di non aver subito violenze. Il giorno dopo rilascia dichiarazione spontanea in cui afferma di aver subito violenze anche fisiche, lei e il figlio, da parte del convivente e che la loro esistenza sarebbe stata a rischio. Tre settimane dopo presenta una querela dove accusa il padre di essere anche un drogato e un alcolizzato. Stesse accuse vengono riformulate anche al ricorso presso il Tribunale per i minorenni di Perugia per chiedere la decadenza della responsabilità genitoriale del compagno. Presenta ricorso al Tribunale civile di Terni per chiedere l’affido esclusivo del figlio, un assegno di mantenimento mensile per lo stesso di €.800.00 (il padre è operaio agricolo!), oltre tutte le spese straordinarie (senza alcuna autorizzazione delle stesse) a totale carico del padre, con la richiesta specifica che il padre venga estromesso da qualsiasi decisione sul figlio.
La Procura della Repubblica di Terni archivia definitivamente la querela perché i testimoni amici della signora e da lei citati nella querela hanno escluso le violenze del compagno ed hanno attestato, al contrario, l’aggressività anche in pubblico della signora nei suoi confronti e i rapporti affettuosi padre-figlio.
Il Tribunale per i minorenni rigetta l’istanza di decadenza della potestà genitoriale e il Tribunale civile di Terna rigetta l’affido esclusivo e dispone l’affido condiviso, stabilisce un mantenimento mensile per il figlio di €. 250,00, le spese al 50% ed ha disposto incontri liberi padre-figlio.
Il Sert di Orvieto sottopone ad esami clinici il compagno per alcolismo e uso di stupefacenti ed ha sconfessato l’accusa della signora.
Alla madre, pochi mesi prima che incontrasse il padre di suo figlio, rimanendo subito incinta, non aveva avuto il rilascio del permesso di soggiorno dalla Questura di Frosinone a causa della sua pericolosità sociale in quanto era stata deferita all’A.G per molestia o disturbo alle persone (luglio 2011); per stupefacenti (settembre 2010); veniva denunciata per lesioni personali e violazione del domicilio (novembre 2009); nel novembre dello stesso anno veniva convocata al Commissariato di Fiuggi come persona indagata del reato di furto in abitazione”.
La Procura di Terni scagiona il padre a metà settembre e la stessa continua ad essere ospitata nel Centro antiviolenza Liberetutte di Terni pur non avendo più titolo. In quattordici mesi la collettività ha pagato alcunde decine di migliaia di euro al Centro che indebitamente l’ha ospitata e che ha l’interesse a tenerla. Non solo, la signora da Agosto percepisce l’assegno di mantenimento per il figlio e dichiara di non poter sostenere le spese dei viaggi del figlio perché disoccupata, ma anvanza continue richieste di potersi allontanare da Terni con il figlioper andare al mare o fare viaggi in Italia per incontrare i suoi parenti guardandosi bene dall’indicare la città e dove porterà il minore. Visto che il minore vive in comunità a spese dello Stato, tutto o parte dello stesso dovrebbe essere versato a copertura di quanto pagato con soldi pubblici
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Lunedì 25 Gennaio 2016 19:03 |
Art. 709 ter c.p.c.
Incomprensibile titubanza dei Tribunali
quando è la madre ad essere condannata
di Ubaldo Valentini*
L’affido condiviso avrebbe dovuto contenere la conflittualità tra i genitori sulla gestione dei figli e garantire la bigenitorialità. Ma non è così poiché la violazione del diritto di visita e di permanenza dei figli con il genitore non affidatario e collocatario è in continua crescita. L’impunità del genitore che non rispetta i provvedimenti del tribunale “autorizza” il trasgressore a continuare nel suo scellerato intento di estromettere l’altro genitore dalla vita dei propri figli.
Come porre rimedio a questo abuso?
L’art.709 ter cpc prevede che il giudice possa modificare i provvedimenti in vigore ed applicare, anche contemporaneamente, ben quattro sanzioni. Il genitore danneggiato deve presentare specifico ricorso per l’applicazione dell’art. 709 ter. La richiesta viene fatta saltuariamente - anche su consiglio del difensore - per paura di inasprire i già difficili rapporti con l’altro genitore che, di fatto, detiene il potere di farti vedere i figli a sua discrezione, contravvenendo ai provvedimenti dei tribunali e che potrebbe vendicarsi, peggiorando la situazione. Il giudice sovente sorvola sulla gravità delle responsabilità del genitore inadempiente, fa resistenza ad emettere i previsti provvedimenti, togliendo, se ricorrono le condizioni, lo stesso affido o collocazione dei minori.
Le tante violazioni, quando prese in considerazione con insistenza anche del difensore, non vengono valutate equamente, cioè si mostra una diversa attenzione se il genitore inadempiente è di sesso maschile o femminile. La violazione, invece, non ha distinzioni. Se il genitore non collocatario, però, non può pagare l’assegno di mantenimento per intero per sopraggiunte difficoltà lavorative ed economiche la spada della giustizia è drastica: condanna; se lo stesso genitore chiede le modifiche dell’assegno di mantenimento, il ricorso viene rigettato perché, a dire del giudice e di controparte, le modifiche economiche non sono degne di considerazione!
Nei tribunali, però, con troppa facilità si sorvola sulle responsabilità del genitore che mette i propri figli contro l’altro, procurando loro prevedibili danni esistenziali perché la crescita equilibrata e serena non può avvenire senza il pieno rispetto della bigenitorialità. Si arriva a tutelare l’invadenza e l’arroganza del genitore che si crede autorizzato di poter disporre della prole a proprio piacimento e di utilizzarla per assurde guerre economiche o, ancora più assurdo, per vendicarsi del partner.
Tutto ciò, al contrario, finisce per inasprire ulteriormente i rapporti tra i genitori perché in assenza di giustizia si finisce per favorire e legalizzare gli abusi in atto. Il giudice applica il diritto e non si può fare paladino di teorie di fantapsicologia, prive di fondamento scientifico, estranee al codice civile e penale.
Tali teorie, pertanto, non possono essere avvalorate in nome di un buonismo che non riguarda i magistrati che, al contrario, sono chiamati a decidere in prima persona in base ai codici italiani e, indebitamente, senza delegare i sevizi sociali a prendere iniziative che, di fatto, arrecano pregiudizi ai minori ed ostacolano l’affidamento dei figli.
L’art. 709 ter del c.p.c. è molto chiaro e facilmente comprensibile da tutti.
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