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Giovedì 07 Gennaio 2016 19:19

Sperpero di danaro pubblico

e ... il silenzio delle istituzioni

 

La volpe cambia il pelo ma non perde il vizio recita un detto popolare che, nel corso dei secoli, non ha minimamente perso la sua veridicità. La conclamata lotta allo sperpero del danaro pubblico non sembra riguardare strutture di genere sostenute con finanziamenti pubblici (europei, nazionali, regionali, comunali ...) che dovrebbero essere monitorate con puntualità e severità perché quei soldi provengono dalle tasse di tutti i cittadini, compresi quelli che sono vittime del loro indebito operato.

I fatti a cui ci riferiamo sono già noti, ma li riportiamo per meglio far comprendere gli inspiegabili atteggiamenti delle istituzioni.

Un padre di un bambino di appena due anni viene accusato dalla compagna di maltrattamenti verso di lei e verso il figlio. Con congruo anticipo concorda con alcune strutture di genere – e forse con gli stessi servizi sociali - l’abbandono della casa familiare assieme al figlio per essere ospitata in una struttura gestita dal CAV (centro antiviolenza) di Terni. Tutto organizzato nei minimi particolari: telefonata ai carabinieri per maltrattamenti da parte del compagno e per comunicare che avrebbe immediatamente abbandonato la casa e chiedendone la presenza di una pattuglia perché temeva una possibile reazione del compagno convivente, padre del minore.

Il padre viene tenuto all’oscuro dove si trovasse il figlio per mesi e per tanti mesi non lo vede. Solo dopo viene disposto, in attesa delle indagini, che il padre lo possa vedere in modalità protetta e, durante l’incontro settimanale, gli viene vietato perfino di dargli una caramella perché l’educatrice del Cav – che si fa chiamare dottoressa – reputa tale gesto come un atto di “corruzione” del minore!

Si comprende in quali mano vengono affidati questi bambini?

Nessuno, compresi i servizi sociali che hanno accesso ai fascicoli, ha preso in seria considerazione che, come da documenti giudiziari in atti, alla signora – ritenuta dal Cav di Terni e dai servizi sociali di Orvieto una ottima madre – la Questura di Frosinone non gli aveva rinnovato il permesso di soggiorno – pochi mesi prima che fosse rimasta incinta – a causa della sua pericolosità sociale, perché “era stata deferita all’A.G per molestia o disturbo alle persone (luglio 2011); per stupefacenti (settembre 2010); veniva denunciata per lesioni personali e violazione del domicilio (novembre 2009); nel novembre dello stesso anno viene convocata al Commissariato di Fiuggi come persona indagata del reato di furto in abitazione”.

Alla pattuglia intervenuta dichiara di  non aver subito violenza ma che, comunque, non voleva stare più in quella casa. Il padre del bambino incredulo, dinnanzi alla pattuglia, la invita a non andarsene da casa per non disorientare il figlio e la riassicura che se ne sarebbe andato subito via lui fino a quando le cose non fossero state chiarite. La signora, però, si allontana da casa con una amica. Nei giorni successivi poi si trasferirà a Terni nella casa protetta come donna e madre che assieme al figlio venivano maltrattati in famiglia e che erano a forte rischio esistenziale.

I giorni successivi poi, denuncia il compagno per violenza e maltrattamenti in famiglia contro di lei e contro il figlio e cita alcune persone a lei vicine come testimoni. Contemporaneamente si rivolge al Tribunale per i minorenni di Perugia per chiedere la decadenza della responsabilità genitoriale del padre chiedendogli, però, molte centinaia di euro come mantenimento per un figlio di due anni.

I testi indicati, interrogati dai carabinieri, sconfessano le accuse della signora, confermano le capacità genitoriali del padre che provvedeva al figlio con molta cura e competenza e, alcuni, addirittura asseriscono che la vittima non era la signora ma il suo compagno che veniva da lei continuamente offeso e violentemente maltrattato anche in pubblico.

Il Gip archivia le denuncia per l'assenza di elementi comprovanti gli asseriti maltrattamenti avendo, due persone informa te sui fatti escusse, escluso che .........  abbia mai aggredito la donna ma anzi, di aver sentito più volte quest'ultima aggredire verbalmente l'uomo, nonché l'educatrice parlava del

minore come di un bambino sereno...”.

 

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Giovedì 07 Gennaio 2016 12:53

Il genitore affidatario può trasferirsi con i figli

in altra città per motivi di lavoro e di sicurezza

 

avv. stabilito Francesco Valentini*

 

La Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 9633/2015 fa chiarezza sul diritto del genitore collocatario a trasferirsi in altra città con i figli: diritto sempre contrastato dall’altro genitore e, talvolta, negato anche dal tribunale adito identificando, erroneamente, la collocazione dei minori con la residenza presso la casa coniugale e/o familiare. Il condiviso, come giurisprudenza insegna, può essere concesso anche quando i genitori abitano in città diverse e lontane fra loro.

I motivi del trasferimento sono vari e vanno dalle esigenze lavorative del collocatario per garantirsi la relativa autonomia economica, al clima ostile talvolta creato artificiosamente dall’altro genitore che mette in seria difficoltà la serena crescita psico-fisica dei minori stessi. Si viene a creare una situazione intollerabile che mette a rischio la sicurezza dei figli e del genitore collocatario.

Il codice civile, art. 155, sancisce il diritto del minore alla presenza significativa di ambedue i genitori e il giudice, in caso di divorzio, deve valutare in via prioritaria l’affidamento del minore ad ambedue i genitori, per garantirgli un sereno sviluppo. L’affidamento ad un solo genitore o ai servizi sociali dovrà essere previsto solo qualora l’affidamento ad entrambi i genitori risultasse – secondo la discrezione del giudice – contrario all’interesse del minore.

Il riconoscimento del diritto all’affido condiviso non è compromesso dalla conflittualità tra i genitori, spesso provocata da uno solo, ma dall’assenza in loro della consapevolezza della primaria importanza per il minore di vivere in modo armonico con genitori dialoganti.

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Mercoledì 30 Dicembre 2015 10:51

Riceviamo e condividiamo

Il falso sorriso per apparire buono

Caro Ubaldo,

in questo periodo l’uomo mette in bella evidenza tutto il falso sorriso per apparire buono e disponibile.  La cattiveria viene  castigata per qualche giorno e tutti si affannano a bussare alle porte dei potenti, con i piedi.

Viene messo a tacere il dolore umano e si aprono le porte ai buoni propositi verso gli altri. Per qualche giorno vengono insabbiate le asce di guerra. I luoghi, gli  uffici e gli  spazi pubblici vengono illuminati di luci colorate per ingannare il cuore degli altri alla speranza e rassegnazione. Davanti alle porte delle abitazioni vediamo i segnali del falso simbolo della pace, in segno di tregua. L’umanità esprime un

grande sforzo di immagini e di segnali di auguri a tutto il mondo civile. Sprechi e spese vistose mortificano e umiliano quelli che vivono ai margini della società, quelli che hanno i diritti come gli altri, ma che non contano o dipendono, per condizione o necessità, da quelli che decidono sulla loro vita, sui sentimenti e sugli affetti.

Eppure se ognuno di noi, prima di parlare e  di decidere avesse a mente che:

-        I minori nel mondo sono 2,2 miliardi.

-        I minori che vivono in paesi in via di sviluppo sono il 86% del totale e che in questi paesi il 95% dei bambini che non muoiono prima dei 5 anni, non hanno accesso all'istruzione elementare e sono vittime del lavoro forzato o di abusi sessuali.

-        Un terzo dei bambini nel mondo soffre di malnutrizione durante i primi 5 anni di vita. Un sesto, soprattutto femmine, non frequenta la scuola elementare.

-        Più di 10 milioni di bambini al di sotto dei cinque anni muoiono ogni anno di malattie che sarebbe facile prevenire o curare.

-        Un miliardo di bambini soffre di problemi fisici, di sviluppo intellettuale e/o psicologico.

-        218 milioni di bambini sono costretti al lavoro forzato.

-        1,2 milioni di bambini sono vittime della tratta degli esseri umani.

-        10.000 bambini combattono come soldati in conflitti armati.

-        Più di 200 milioni di bambini sono gravemente disabili.

-        140 milioni di bambini sono orfani.

-        Più di 100.000 bambini sono vittime di violenze per mala giustizia,

Ognuno di noi dovrebbe vergognarsi di illuminare a festa questo periodo, di indossare vestiti nuovi , indossare la toga di parlare di leggi e di diritti, di decidere sulla vita dei minori e di percepire  compensi, parcelle e stipendi per le attività e le professioni svolte per allontanare i figli dai genitori.  il mio abbraccio intenso ed infinito va a tutti questi volti invisibili e a tutti coloro che ogni giorno dedicano il tempo a difendere il valore della vita e della famiglia.  (gerardo spira)

 
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Mercoledì 23 Dicembre 2015 19:05

Psicoterapia e mediazione familiare

non possono essere imposte dal giudice


avv. stabilito Francesco Valentini *

 

Parole chiare su un errato modus operandi dei tribunali e dei servizi sociali che “consigliano” e, in taluni casi, addirittura esplicitamente impongono ad un genitore, quasi sempre il non collocatario, la mediazione familiare e/o il percorso di psicoterapia come conditio sine qua non per vedere i figli.

Queste richieste erano motivate a seguito delle accuse della parte vincente (quasi sempre la madre) contro l’altro genitore per mettere in discussione le sue capacità genitoriali. La mediazione, invece, doveva servire per stemperare il clima di tensione esistente tra i due genitori quasi sempre a causa di disposizioni di affidamento dei figli e di determinazione dell’assegno di mantenimento non eque. La conflittualità dei genitori è sempre presente nelle relazioni dei servizi sociali e nelle disposizioni del tribunale, soprattutto quelle emesse durante l’udienza presidenziale.

Nella fase iniziale della separazione giudiziale - la stessa cosa dicasi per l’affido dei figli dopo la fine di una convivenza - la dialettica tra i due genitori esiste è vero e non potrebbe essere diversamente visto che il genitore non affidatario e non collocatario è e/o si sente estromesso dalla vita dei figli.

La conflittualità è la negazione dei bisogni effettivi ed affettivi dei propri figli, la negazione della bigenitorialità, cioè la negazione del diritto dei propri figli ad avere un padre e una madre. Contrariamente a quanto talvolta si afferma in alcuni tribunali, la conflittualità è provocata non da ambedue i genitori – come spesso avviene – ma da un solo, quello sicuro della collocazione dei figli presso di sé e che considera la presenza dell’altro genitore ingombrante per la realizzazione dei propri progetti affettivi e relazionali per i quali ha rotto la convivenza. Questo è un atteggiamento devastante per i figli e per il genitore non collocatario e troppo spesso sfocia nella PAS (sindrome da alienazione parentale) che induce il minore a rifiutare il genitore perdente, il non collocatario.

I tribunali e i servizi sociali, per i quali esiste la conflittualità tra i genitori anche quando uno di loro è vittima di questo conflitto, propongono come rimedio la mediazione familiare per la coppia e la psicoterapia per il genitore non collocatario e solo eccezionalmente per ambedue. Nelle carte spesso si parla di consigli, ma in realtà sono veri e propri  vincoli che rinnegano i diritti personali e che se un genitore rifiuta, come suo sacrosanto diritto, viene penalizzato.

La Corte Suprema, 1° sez. civile,  con sentenza n. 13506 del 1 luglio 2015, ha definito  queste imposizioni (o condizionamenti psicologici) lesive del diritto alla libertà.

 

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Lunedì 07 Dicembre 2015 12:55

I DIRITTI DELL'UOMO CONTRO LA MALA GIUSTIZIA

DEI TRIBUNALI DEI MINORI


avv. Gerardo Spira

Se una mattina decidi di scorrere  le pagine di un notiziario giudiziario sulle decisioni dei tribunali per i minorenni resti violentemente sconvolto per la cultura con cui vengono trattati questioni che riguardano la vita e il futuro dei nostri figli.

Nella materia dei minori tutti gli attori appaiono impegnati a trovare una soluzione al grande problema che ha colpito la famiglia, ma tutti sono responsabili del decadimento di uno dei grandi valori della società: la dignità della persona in cui si sommano i principali  diritti dell'uomo. Leggiamo e riflettiamo!

Se ne fa un gran parlare nei convegni e negli incontri, ma, dopo le pause conviviali, i partecipanti si mettono  in contestazione tra loro, per confrontarsi su astruse teorie che finiscono per confondere il buon senso del DIRITTO e della GIUSTIZIA.

Nella G.U n.252 del 29 ottobre 2015 è stata pubblicata la legge n. 173 del 19 ottobre 2015, riguardante le modifiche alla legge n.184 sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare.

Dal mondo della giustizia minorile arrivano notizie che finalmente alcuni tribunali cominciano a prestare attenzione ai minori più che ai genitori in lite.

Dopo l'intervento della Consulta, Il Tribunale dei Minori di Firenze, per la prima volta, ha autorizzato il figlio adottato a ricercare la propria madre naturale.

Il Tribunale di Firenze ha così preso atto di quanto consacrato nella Grande Carta di Strasburgo : “Non si può vietare ad un figlio adottivo di risalire ai genitori naturali”, è questo il principio in base al quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo aveva stabilito che la normativa italiana prevista nell’art. 28 co. 7 della legge 184 del 1983 doveva essere rivista.

 

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Venerdì 13 Novembre 2015 13:04

Dove finiscono i soldi pubblici


Centri antiviolenza umbri

Occorre vederci chiaro


E’ in atto una campagna di raccolta fondi pubblici da parte dei Centri antiviolenza umbri. La regione sembra orientata a rinnovare i finanziamenti per la gestione di queste strutture di cui, in concreto, poco si conosce. Per esempio non si conoscono come vengono amministrati i soldi pubblici a loro affidati, come vengono dati gli incarichi professionali, con quali criteri vengono accolte le donne e loro figli nelle strutture di accoglienza gestite da questi organismi.

La violenza sulle donne esiste, è vero, ma ogni intervento in loro sostegno deve essere seriamente valutato e non basta dire che ciò che avviene all’interno delle mura domestiche è di difficile dimostrazione. Generalizzare questa convinzione non aiuta chi veramente subisce la violenza ma potrebbe  finire per coprire anche donne senza scrupoli che proprio per “giustificare” le loro responsabilità finiscono per accusare l’uomo di ignobili crimini. Spesso le persone che accusano hanno un loro passato poco edificabile e lo fanno per fini per diversi.

Questi centri devono avere uno statuto chiaro e vincolante, sottoposto all’approvazione degli enti che li finanziano, e tutta la loro attività deve essere regolata da un protocollo di intesa a garanzia di chi vi fa ricorso ma anche di tutti i cittadini e, quando sono presenti, dei minori accolti nelle loro case protette.

Queste strutture usufruiscono di cospicui finanziamenti pubblici regionali – e talvolta anche nazionali – e il loro operare deve essere puntualmente regolato ed improntato alla massima trasparenza.

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Giovedì 12 Novembre 2015 16:56

Tribunale di Monza


Arroganza senza ritegno!


Una seguitissima trasmissione televisiva, alcuni mesi or sono, aveva sollevato seri dubbi sul funzionamento del tribunale di Monza. Si auspicava, con questa pubblica denuncia, un cambiamento di rotta. Speranza infranta poiché quella istituzione sembra far parte di un altro Stato dove i diritti del cittadino, di fatto, non sempre vengono tutelati.

Il pregiudizio nelle istituzioni, se esiste, è la morte della giustizia e della democrazia.

In queste pagine abbiamo riferito di una madre e di una minore di sei anni “ostaggi” di un tribunale che costringe loro a vivere in un paese della zona perché così vuole il padre (sarebbe più giusto dire la nonna paterna) e non si tiene conto che la stessa non colà non trova lavoro e che lui percepisce uno stipendio di oltre 1.600 euro al mese (14 sono le mensilità!) e, nel tempo libero, invece di stare con la figlia – che sistematicamente lascia a persone terze anche a dormire - svolge altre attività commerciali e artigianali con la nuova compagna, mentre paga un esiguo assegno di mantenimento. La casa familiare affidata alla figlia e alla moglie è della suocera e lui vive in una casa nuova acquistata da sua madre ma intestata a lui come prima casa per non pagare le tasse, mentre il mutuo, stando ai movimenti bancari, è pagato dalla madre. Nella casa familiare non ha mai avuto la residenza, mentre sua madre resta “saldamente” nello stato di famiglia della moglie e figlia. L’ex nuora, a causa della pensione della suocera che si aggiunge al suo misero stipendio, non può accedere al patrocinio gratuito e - cosa ancora più grave - non ha risorse per pagarsi legali, ctu e quant’altro per potersi difendere nelle sedi giudiziarie dai continui attacchi di marito, suocera & C.

La madre è senza lavoro e deve vivere con un assegno mensile di mantenimento per lei e per la figlia di €. 550,00. L’abitazione in cui la madre “deve risiedere” ha un costo di utenze di oltre 200 euro al mese! La madre, con laurea e specializzazioni varie, si è diplomata anche come operatrice socio-sanitaria per avere la possibilità di reperire più facilmente un lavoro.  Lo aveva trovato,  come O.S., nella zona di residenza coniugale. Sopraggiunte le difficoltà di convivenza con il marito - che aveva già programmato la propria vita con altre donne, anche contemporaneamente - e che con la richiesta di separazione da parte della moglie - che non accettava il ruolo di favorita in un harem tutto privato - il coniuge si rifiutava di contribuire al pagamento della baby-sitter che assorbiva tutto il suo stipendio.

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Venerdì 18 Settembre 2015 15:04

Alla Procura della Repubblica di Terni

Riaffermata l’innocenza di un padre

 

La Procura della Repubblica di Terni ha fatto chiarezza nei confronti di un padre denunciato dalla ex-compagna per maltrattamenti e violenza nei suoi confronti e nei confronti del loro figlioletto, indicando alcune persone a lei vicine come testimoni. I carabinieri del luogo, dopo aver svolto le dovute indagini e dopo aver sentito i testimoni indicati dalla straniera hanno constatato la infondatezza delle sue accuse. La sera del suo allontanamento con il figlio dalla casa del compagno la signora aveva fatto intervenire una pattuglia dei carabinieri riferendo agli stessi di non aver subito nessuna violenza da parte del compagno che, pur di far restare il figlio a casa con la madre, le proponeva di andarsene lui. La signora, con la stessa accusa, si era rivolta al tribunale dei minori di Perugia per richiedere la immediata decadenza della responsabilità genitoriale paterna e al tribunale civile ternano per richiedere l’affido esclusivo del figlio di due anni ed un assegno di mantenimento sproporzionato rispetto al reddito del padre dipendente di una azienda agricola.

Il PM, dott.ssa Elisabetta Massini, analizzati gli atti, avanzò la richiesta di archiviazione, impugnata successivamente dal legale della signora, e martedì 14 c.m. il Gip, dott. Angelo Socci, dopo l’udienza, ha emesso la sentenza di archiviazione definitiva della denuncia poiché i fatti non erano supportati dalla necessaria veridicità, avendo tutti i testi sentiti escluso l’indole violenta dell’uomo ed avevano evidenziato, al contrario,  che era proprio lei a maltrattare in pubblico il compagno e il figlioletto e ad essere violenta verso di lui. L’uomo era ed è difeso dall’avv. Gabrio Giannini e dall’avv. s. Francesco Valentini.

La signora, ai primi di dicembre del 2014, si era allontanata dalla casa familiare col figlio dopo aver concordato con  un centro antiviolenza ternano la sua accoglienza prima ad Orvieto in una struttura protetta – a loro collegata -  e poi presso una loro struttura a Terni, ovviamente a spese (centinaia di euro al giorno) dei cittadini italiani e senza il pur minimo controllo delle istituzioni.

I servizi sociali di Orvieto fin dall’inizio hanno sposato la versione della signora, restando indifferenti alle ragioni del padre convalidate dalle testimonianze e dai preoccupanti atti giudiziari presenti nel fascicolo, da loro conosciuti. Hanno sempre negato al padre il diritto di sapere dove si trovasse il figlio. Solo dopo sei mesi è venuto a conoscenza in quale città si trovasse il figlio e gli è stato concesso di poterlo rivedere in modalità protetta in un angusto ambiente di pochi metri per 90 minuti alla settimana in presenza di una educatrice ed altra persona del centro che gli vietava perfino di portare regali al figlio, di fargli una foto col cellulare per farla vedere all’anziana nonna, di parlargli a bassa voce;  fu accusato “di comprare” il figlio perché gli stava per dare una caramella!  Una vera e propria persecuzione da struttura che non ne aveva titolo e che operava senza nessun protocollo di intesa a garanzia di trasparenza e oggettività. Il centro imponeva alle strutture comunali di riferimento una costosa videoregistrazione per ogni incontro.

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