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Giovedì 09 Luglio 2015 09:15

Per paura di pagare di persona in caso di errore, a Treviso

Il giudice Vettoruzzo non emette la sentenza

e rimette la questione alla Corte Costituzionale

 

di avv. Gerardo Spira

Ponzio Pilato lo fece con Cristo, ma in quel caso vi era la vita di una persona per lo mezzo e forse la coscienza, Vettoruzzo lo ha fatto perché di mezzo vi era la sua tasca. Meno male, ora può continuare a decidere più serenamente, perché  ha passato la palla alla Corte Costituzionale.

Il caso è accaduto nella giurisdizione di Treviso e  riguarda un locatario di un capannone nel quale sono stati rinvenuti 47 quintali di sigarette di contrabbando.

Dal dibattimento sulla questione sono emersi solo elementi indiziari, la cui valutazione ha messo in allarme il magistrato il quale per paura di sbagliare e di cadere nella trappola della nuova normativa sulla responsabilità civile del giudice, in caso di errore, ha trovato, attraverso un contorto ragionamento interpretativo, la via per interpellare la Corte Costituzionale sulla legittimità della norma “ lamentata”.

Ormai tutti sanno che la nuova legge sulla responsabilità civile del magistrato consente alla Stato, in caso di errore, di rivalersi sul giudice che ha sbagliato per chiedere la restituzione delle somme sborsate per danno.

Sarà stata questa eventualità a terrorizzare Vettoruzzo che avvolto dal dubbio amletico ha preferito  sospendere la decisione e  rimettere la questione alla Consulta.

E' una questione di effettiva sostanza giuridica o la paura di dover rispondere con il portafoglio?

Vettoruzzo ha fatto il passaggio, ben cosciente di farlo, come colui che di fronte ad un fosso, non lo salta sapendo di farcela.

La decisione di quel magistrato è molto grave per un sistema fondato sulla responsabilità di quanti tutti i giorni agiscono e decidono in nome e per conto delle Istituzioni.

Vettoruzzo è agitato non per il fatto di commettere un errore, ma per la eventualità di dover pagare di tasca propria.

Prima della legge sulla responsabilità civile della magistratura, Vettoruzzo non ha mai sentito in coscienza se poteva rovinare la vita ad un cittadino con la sua decisione. Allora la sua coscienza dormiva sonni tranquilli perché non minacciata dalla paura di dover pagare per un errore giudiziario.

Eppure anche prima la norma sull'Ordinamento Giudiziario prevedeva la possibilità di aprire il contenzioso in danno, nel caso di errori. E di errori ve ne sono stati tanti, tutti pagati dallo Stato “pantalone”, o meglio dai cittadini, tra cui anche la vittima risarcita.

Prima però le Istituzioni erano controllate dagli amici ai livelli alti, per cui tutti operavano secondo l'affermato principio di indipendenza e di autonomia.

Ora invece il palazzo comincia a vacillare, i cittadini sono cresciuti e cominciano a farsi sentire pretendendo giustamente che chi vuole mangiare il pane dello Stato deve farlo con la responsabilità personale. L'indipendenza e l'autonomia riguardano l'organizzazione  del sistema giustizia e questa nessuno vuole toccarla. Il sistema organizzativo non c'entra con la decisione che si fonda esclusivamente  sulla capacità e sulla preparazione del magistrato.

Intanto, mentre la Corte deciderà sul caso, Vettoruzzo non si è autosospeso, continuerà a percepire lo stipendio e probabilmente a mietere vittime.

 
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Mercoledì 17 Giugno 2015 18:43

 
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Venerdì 05 Giugno 2015 18:26

Parola della Cassazione

 

Pretendere informazioni sui propri figli

non costituisce reato di molestia e persecuzione

Avv. s. Francesco Valentini


Una importante sentenza della cassazione (I sez. Penale, sent. 13 – 27 maggio 2015, n. 22152 - presidente Giordano – relatore Centonze) con cui si annulla una condanna ad un padre che, dinnanzi agli ostacoli posti in essere dalla madre per farlo stare col figlio minore, cercava di mettersi in contatto con la madre affidataria per poter esercitare il suo diritto alla genitorialità.

La Cassazione, con questa decisione, incomincia ad entrare nel difficile mondo dei figli con genitori non più conviventi, affrontando le criticità del diritto di visita del genitore non collocatario e della tutela, ad ogni livello, della bigenitorialità; diritti, questi, troppo spesso negati e delitti verso i minori e verso il genitore estromesso tacitamente tollerati dalle istituzioni.

I giudici di via Cavour hanno puntualizzato che pretendere il rispetto dei propri diritti di genitore non costituisce molestia ed implicitamente hanno condannato una madre che sistematicamente cercava di estromettere il padre dalla vita del proprio figlio.

Se i tribunali fossero più intransigenti verso tutti quei genitori affidatari che si approfittano della loro presenza continuata con i figli – e pertanto psicologicamente influente – per provocare in loro un rifiuto del genitore non convivente con loro, esisterebbe sicuramente meno conflittualità e maggior rispetto della bigenitorialità. Questo atteggiamento di netta chiusura nei confronti di uno dei due genitori espone i figli al rischio della nota Pas (sindrome da alienazione parentale) le cui conseguenze sono sotto gli occhi di tutti anche se troppo spesso sono sottovalutate dai tribunali e dai servizi sociali.

Ma torniamo alla sentenza.

Il genitore che telefona insistentemente all’affidatario dei suoi figli per avere informazioni su di loro, sostiene la Suprema Corte di Cassazione, non commette il reato di “molestie e disturbo alla persona” (art. 660 cp.) nè tantomeno “atti persecutori” (art.612 bis cp.), perché le telefonate non sono “finalizzate a creare disagi o molestie all’ex convivente, ma esclusivamente ad avere notizie del figlio minore, allo scopo di poterlo incontrare, esercitando in tal modo i propri diritti di genitore”.

La madre, pertanto, non può accusarlo di procurarle“pressioni psicologiche da parte dell’imputato, le cui richieste riguardavano solo la gestione dei suo rapporto con il figlio minore”.

I comportamenti contestati al padre, secondo la Suprema Corte, dovevano essere analizzati dal tribunale di merito di Milano, senza entrare nel merito della loro opportunità, se avessero avuto i connotati di petulanza e se hanno interferito sgradevolmente “nella sfera della quiete e della libertà della persona”. Fatto questo insussistente per i giudici romani perché i fatti denunciati dalla madre “risultavano collegati all’esercizio del diritto di visita del figlio minore che l’imputato riteneva ostacolato in modo prevaricatore della sua ex convivente” .

Non è stato tenuto in alcun conto che la madre, inosservante dei decreti del tribunale dei minori, “sovente non consentiva all’imputato di vedere il bambino, ovvero frapponeva ostacoli alla già difficoltosa condizione del padre ovvero ancora esigeva che gli incontri tra padre e figlio avvenissero in presenza sua o di suoi familiari».

Non esistevano gli elementi probanti una specifica volontà persecutoria dell’ex convivente e pertanto occorreva una “interpretazione alternativa dei fatti in contestazione, finalizzata a collegare le condotte del padre non già all’intento di creare una situazione di disagio all’ex convivente, ma a esercitare i propri diritti di genitore ostacolati dalla madre affidataria.

 

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Martedì 19 Maggio 2015 18:37
Il ruolo di tribunali e servizi sociali
Il ruolo di tribunali e servizi sociali
Il ruolo di tribunali e servizi sociali
Il ruolo di tribunali e servizi sociali

da L'Indro del 13 maggio 2015

Il ruolo di tribunali e servizi sociali

Separazioni: tutelare i minori


Ubaldo Valentini: 'La politica non disegna il futuro dei cittadini ma salvaguarda solo se stessa'

 

Prevenire le conseguenze negative di una separazione matrimoniale potrebbe essere la soluzione di un Paese civile che vuole tutelare i minori vittime di pesanti disagi, a danno della loro formazione educativa e culturale. La politica italiana, se continua a togliere risorse finanziarie al welfare, non può pensare seriamente al bene dei bambini. Il rischio di forti squilibri sociali nei giovani, causati da una cattiva educazione e da una pessima formazione, perché vittime di una separazione dei genitori, può proiettarsi nella società del futuro.

Il divorzio breve, approvato di recente, è solo un provvedimento studiato e pensato per i genitori, perché nella legge manca un chiaro passaggio a beneficio dei minori. Nel testo normativo non c’è la parte dedicata alle conseguenze subite dai figli. Sarebbe semplice inserire l’obbligo dei genitori separati di essere affidati ai Servizi sociali per constatare la salute psichica dei propri figli. Non è difficile scrivere una riga al testo normativo, serve solo la volontà politica. Ancora. Sarebbe auspicabile inserire l’obbligo di frequentare un percorso di sostegno alla genitorialità per genitori separati. Gli scenari sociali sui quali far confluire una determinata situazione per prevenire derive sociali sono molteplici e variegati. C’è l’urgente bisogno di intervenire su materie fondamentali come l’educazione e la formazione dei bambini per prevenire situazioni a rischio.

Se funzionassero veramente le case famiglia“, commenta Paola Vaccari, Presidente della Commissione delle Elette e Pari Opportunità del Municipio IX di Roma, “sarebbero le uniche soluzioni per accogliere adeguatamente i minori; purtroppo, a volte, anche queste si sono distinte per inefficienza con il solo scopo di essere una macchina per fare soldi. Una soluzione potrebbe essere quella, forse la più semplice ma la meno applicata, dell’ascolto. I giudici che hanno in carico queste cause di separazione dovrebbero avere l’accortezza di ascoltare le loro testimonianze, ovviamente con personale competente. Ascoltare le loro richieste e capire le loro esigenze potrebbe essere molto meglio. Nella stragrande maggioranza dei casi si troverebbe per i minori la migliore soluzione. Ma forse questa è solo fantascienza, perché i tribunali e i giudici sono troppo collassati dall’enormità di cause infinite. Spero che la nuova legge sulle separazioni, contraddistinta da una forte diminuzione dei tempi, riesca a superare oltre alle lungaggini anche le agonie sottoposte ai minori in attesa della sentenza, attenuando le acredini tra i coniugi“.

Con Ubaldo Valentini, Presidente, ideatore e cofondatore dell’Associazione Genitori Separati per la Tutela dei Minori, impegnato dal 1998 a conoscere le problematiche legate ai minori nelle separazioni, compreso il ruolo del genitore reso più debole dalle Istituzioni, vogliamo conoscere la situazione sociale e politica relativa al minore, troppo spesso abbandonato dalla società e dalla politica.

La politica investe poche risorse finanziarie sui minori vittime della separazione. Perché?

Si investono poche risorse finanziarie sui minori con genitori non più conviventi perché la politica non ha una particolare attenzione verso i bambini in genere, mentre preferisce occuparsi delle loro problematiche solo quando queste si manifestano come una pericolosa emergenza per la credibilità della stessa politica. I minori non producono e non votano e ciò condiziona le scelte politiche, le quali non sempre mettono al centro della progettazione sociale i bambini di oggi che saranno i fautori della società di domani, cioè del nostro futuro. Manca, di fatto, la politica della quotidianità propositiva e la cultura del rispetto del minore come persona, con esigenze ed aspettative degne di attenzione al pari di quelle dell’adulto. Il minore, purtroppo, viene sacrificato alle esigenze dell’adulto, cioè di colui che amministra le risorse umane e finanziarie, ritenendo non impellenti le esigenze di coloro che hanno tanto tempo davanti a sé e che pertanto, loro, possono aspettare. Gli stessi genitori, nelle separazioni, troppo spesso utilizzano i minori per interessi trasversali contro l’altro genitore, aiutati da legali e da servizi sociali accondiscendenti.

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Martedì 19 Maggio 2015 18:31

Il Bullismo: le responsabilità delle istituzioni

avv. Gerardo Spira

 

Corretta riflessione, quella del dott. Maurizio Bartolucci (espressa nell’articolo di seguito riportato) per quanto riguarda l’analisi, l’ambiente e il mondo che oggi circonda la vita del minore.

Dove esiste la famiglia, un padre ed una madre che si rapportano ai valori ed ai principi ancora cardini della società, le responsabilità vanno addebitate soprattutto ai genitori, ma dove la famiglia è finita nella cultura della separazione o del divorzio le responsabilità vanno addebitate alle istituzioni coinvolte e alla giustizia minorile che insistono per gli affidamenti condizionati e limitati o addirittura con affidamenti esclusivi, impedendo ad un genitore di adempiere agli obblighi di cui all’art. 30 della Costituzione e art. 147 del c.c. La sottrazione disposta con la solita formula ed in nome della legge è il momento in cui comincia il disastro della vita del minore...

 

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Venerdì 08 Maggio 2015 09:07

incredibile ma vero!

Centri antiviolenza per le madri

e/o violenza legalizzata sui padri?

 

di Ubaldo Valentini *

Occorre premettere che la violenza  non ha ragione d’esistere in nessun caso e che deve essere combattuta con tutti i mezzi. Ciò, però, non ci esime dal sottolineare che la violenza spesso viene invocata a sproposito e che dietro a certe battaglie si nascondono interessi non sempre solari. La violenza fisica è con maggior frequenza di genere ma non va sottovalutata quella psicologica, sociale, culturale che l’alimenta o che – come troppo spesso avviene – la subisce l’uomo e per questo troppi contesti sociali continuano a negala.

Il binomio che vuole la donna sempre vittima e l’uomo sempre carnefice è fuorviante.

 

Il fatto

Un uomo, divorziato e con un figlio maggiorenne cresciuto in collaborazione con la madre, diviene nuovamente padre a seguito di una relazione con una straniera. Solo ora viene a sapere che questa donna era stata “deferita all’autorità giudiziaria per molestie e disturbi alle persone, per stupefacenti ed era stata denunciata per lesioni personali e per violazione di domicilio a scopo di furto” e, a causa della sua “pericolosità sociale” gli veniva negato il permesso di soggiorno.

La nascita di un figlio in Italia le aveva assicurato il permesso di soggiorno pur restando in piedi tutti i provvedimenti giudiziari. Da quel momento, lei, aveva risolto i propri problemi di soggiorno e pensò bene di far fruttare economicamente la nascita di un figlio concepito con un uomo italiano.

Ha incominciato a contestare la convivenza, a rendere impossibile la vita al compagno, a rifiutare il lavoro  e a trascorrere gran parte del giorno al bar. Ma non si era fermata a ciò. Lo offendeva continuamente anche in presenza degli amici, lo accusava di essere sempre ubriaco (perché una volta, dopo una cena con amici, era risultato positivo al test etilico) e di essere un cocainomane (circa trent’anni fa un coetaneo  con  problemi di droga aveva riferito alle forze dell’ordine che lui, giovanissimo, gli aveva fornito uno spinello. Fu indagato e assolto perché estraneo ai fatti).

Col passare dei mesi la signora intensificò le aggressioni verbali e non solo contro il compagno, chiedendo continuamente soldi a tutti per inviarli, a suo dire, alla madre malata, incominciò  a chiamare continuamente i carabinieri per ogni discussione con il padre di suo figlio che, la sera, al rientro dal lavoro chiedeva informazioni sul bambino. Arrivò ad accusarlo di violenza e stalking su di lei e sul figlio stesso, di maltrattalo mentre, in realtà, il piccolo era legatissimo al padre che, nel tempo libero, stava sempre con lui.

Nelle denunce ha indicato una serie di testimoni suoi amici che, interrogati dai carabinieri, hanno messo in evidenza la pazienza del compagno, le sue capacità genitoriali ed invece hanno evidenziato il carattere difficile e violento della signora che l’umiliava ed offendeva continuamente e senza alcun motivo, che era sempre alla ricerca di soldi tra i conoscenti e i parenti dell’uomo. Arrivò a chiedere soldi anche su internet.

Gli stessi carabinieri hanno segnalato alla Procura della Repubblica competente che quanto denunciato dalla signora era in netto contrasto con quanto affermato dai testimoni da lei indicati che, al contrario, negavano la violenza del compagno che, secondo loro, era la vera vittima del comportamento della signora.

Una bella sera la signora ha chiamato i carabinieri per presunte violenze del compagno ed ha dichiarato che voleva andarsene da casa con il figlio per andare a vivere altrove, nonostante il compagno le avesse prospettato, dinnanzi alle forze dell’ordine, di restare lei in casa perché se ne sarebbe andato lui.  In realtà era già pronta l’amica della signora – anch’essa con problemi con la giustizia – che li ha prelevati per portarli a dormire a casa sua.

Il giorno dopo si è rivolta ad un centro antiviolenza per chiedere protezione e ad una casa protetta in un comune vicino per essere ospitata. Il genitore solo ora è venuto a conoscenza dove si trovi suo figlio che da oltre cinque mesi non vede e non sente. Il bambino ora ha  due anni e mezzo ed ancora non sa perché il padre – che continua disperatamente a cercare -  sia “sparito nel nulla”.

 

Il centro antiviolenza

ubicato in una grossa città umbra, è finanziato dagli enti pubblici, rientra nei progetti a difesa della donna che, a loro dire, è l’esclusiva vittima della violenza dell’uomo. Le istituzioni finanziano strutture senza il minimo riscontro oggettivo sul loro operare e sulle competenze scientifiche degli operatori. Il dinamismo – meglio sarebbe dire la interessata presunzione e il fanatismo settario e qualunquista – ha indotto la responsabile del  centro a scrivere al tribunale per i minori affinché venisse tolta al padre la responsabilità genitoriale, invitandolo a tenergli nascosta la località dell’attuale residenza della madre e del figlio e, cosa ancor più grave, chiedendo di secretare la lettera per garantire la tutela della signora e del minore.

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Giovedì 23 Aprile 2015 12:33

DIVORZIO BREVE

“La volta buona” ... con tanta ipocrisia!

 

avv. s. Francesco Valentini


La camera dei deputati ha licenziato con 298 voti favorevoli, 28 contrari e 6 astenuti la modifica della legge sul divorzio n. 898 del 1970. Questo il testo approvato:

“Art. 1. 1. Al secondo capoverso della lettera b) del numero 2) dell'articolo 3 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, le parole: «tre anni a far tempo dalla avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale» sono sostituite dalle seguenti: «dodici mesi dall'avvenuta comparizione dei coniugi innanzi al presidente del tribunale nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale».

Art. 2.  1. All'articolo 191 del codice civile, dopo il primo comma è inserito il seguente:

«Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione ».

Art. 3.  1. Le disposizioni di cui agli articoli 1 e 2 si applicano ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data”.

 

Cambiano le regole per divorziare (valide anche per le separazioni pendenti) in merito ai tempi – che vanno dai 6 ai 12 mesi - e allo scioglimento della comunione dei beni con effetto immediato dalla sottoscrizione del verbale di separazione dinnanzi al presidente del tribunale.

E’ una legge che era attesa da tanti anni ma che poteva essere più completa poiché aspettare sei mesi per divorziare non ha alcun senso, soprattutto quando il divorzio è consensuale, poiché questo lasso di tempo è funzionale solo alle varie lobby che speculano sulle separazioni. Il divorzio deve essere immediato sia quando è congiunto che quando è giudiziale.

La doppia lettura della fine del matrimonio, con separazione e divorzio, è anacronistica poiché quando due persone arrivano allo scioglimento del matrimonio lo fanno a ragion veduta e a nulla servono le pause di riflessione. I divieti confessionali ed ideologici non hanno alcuna ragione di esistere in una società moderna e liberale poiché non si può chiedere al legislatore di porre in essere vincoli per “imporre” una unione che non esiste più.

Si invoca la pausa tra separazione e divorzio come una questione di moralità di riflessione sull’atto compiuto con la separazione senza considerare che la legge non può andare contro la coscienza delle persone e che non può sostituirsi alla mancanza di una eventuale cultura “unionistica” della coppia; nemmeno si può pensare che coloro che si separano = divorziano lo facciano con superficialità ed inconsapevolezza. Un  presupposto, questo, assai rischioso per le possibili conseguenze in tutti i campi sociali.

C’è da chiedersi cosa cambierà, in sei mesi o un anno,  tra separazione e divorzio: nulla poiché il giudice, in caso di giudiziale, riconfermerà le condizioni della separazione e, in caso di consensuale, i ripensamenti non avverranno in sei mesi. Quindi solo costi economici aggiuntivi ed inasprimento della conflittualità in atto.

Il diritto di famiglia deve essere rivisto in modo radicale e i provvedimenti tampone servono solo per porre termine a certe contraddizioni della legge in vigore.

La maggioranza dei figli delle coppie coniugate e di fatto hanno genitori che non vivono più nella stessa casa coniugale e la fine della convivenza, nella stragrande maggioranza, avviene in modo conflittuale: i provvedimenti dei tribunali spesso sono discriminatori tra padre e madre, negando di fatto le pari opportunità genitoriali - la cosiddetta bigenitorialità - con il conseguente incremento della conflittualità ad esclusivo danno dei minori coinvolti che si vedono privati della insostituibile figura di un genitore.

Che senso ha parlare di divorzio breve - quando lo stesso dovrebbe essere immediato, con conseguente riduzione dei costi economici ed umani - se non si affronta il tema dell’affido

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Venerdì 10 Aprile 2015 18:58

Stampa Umbra

Come disinformare con i soldi pubblici

La redazione giornalistica della sede umbra della Rai eccelle nel riproporre, fino alla nausea, ogni giorno gli stessi servizi nelle varie edizioni, nell’offrire tematiche quanto mai antiquate, soprattutto di cronaca nera, nell’usare una discutibile discrezionalità nel dare informazioni sulle libere iniziative socio-culturali che si tengono nella piccola regione, dimenticando spesso le dure realtà sociali che la maggior parte dei contribuenti deve quotidianamente affrontare. Queste problematiche sociali non hanno pari dignità nella dovuta considerazione delle istituzioni e della maggior parte della stampa locale che, però, beneficiano di consistenti finanziamenti pubblici, cioè dei nostri soldi. Alcune testate, occorre sottolinearlo, non operano nel modo che andiamo denunciando.

Il 19 marzo, festa del papà, i notiziari regionali della Rai annunciano, con tono trionfale, questa ricorrenza e lo spazio viene così suddiviso: il 70% si parla della violenza sulle donne, il 20% viene dedicata alla ricorrenza di S. Giuseppe falegname e, infine, per festeggiare i papà si propone loro come fare le frittelle del santo del giorno!

Nessuno mette in discussione la violenza sul gentil sesso - sarebbe opportuno, però, prendere in esame pure la violenza che molte donne fanno sugli uomini soprattutto nelle separazioni inducendoli spesso alla disperazione e danneggiando gravemente la crescita psico-fisica dei minori. Nessuno parla di quei padri a cui viene impedito di vedere i propri figli, che se insistono sui propri diritti di genitori e sui diritti della prole alla paritetica bigenitorialità, vengono sovente denunciati per maltrattamenti in famiglia e per stalking, per pedofilia e rischiano di vedersi sospesa la responsabilità genitoriale e frequentarli solo con modalità protette, cioè. nel migliore dei casi, una o due ore alla settimana rinchiusi in uno spazio angusto.

Il padre, come prassi, non può contestare il solo ruolo istituzionale di bancomat ( con assegni di mantenimento stabiliti senza alcun parametro di riferimento con i reali redditi di ambedue i genitori e senza nessun riferimento al costo di un figlio in una famiglia normale), non si vede riconosciuto alcun diritto, colto dalla disperazione spesso ricorre a forme autolesioniste che sfociano nel suicidio. Questo, però, non fa storia poiché i drammi psicologici non interessano a troppe persone.

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