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Venerdì 22 Luglio 2022 08:23

Riceviamo e pubblichiamo


Non si sa dove sia finito un bambino di 7 anni

affidato dal tribunale a due comuni di Ferrara


È una storia talmente incredibile che si fatica persino a raccontarla, sottolinea l’avvocato Miraglia, cui la madre si è rivolta e che segue questa vicenda da anni.

Nessuno sa dove sia finito un bimbo di 7 anni, che da tutta la vita viene rimbalzato da una comunità a una famiglia affidataria. Tra il Comune di Ferrara, cui è stato affidato dal Tribunale dei Minorenni di Bologna, e il suo Comune di residenza (sempre nel Ferrarese), nessuno vuole assumersi la responsabilità di gestire il suo caso. E oltre a non vedere la mamma, perché nessuno dei due Servizi sociali ritiene sia compito suo dover organizzare gli incontri, al momento non si sa nemmeno dove sia finito. Stava in una famiglia affidataria, che però non lo vuole più. Dove sarà adesso?

«È una storia talmente incredibile che si fatica persino a raccontarla – sottolinea l’avvocato Miraglia, cui la madre si è rivolta e che segue questa vicenda da anni – A volte le istituzioni si accaniscono in maniera crudele contro le persone e questo bambino, che ha solo 7 anni, ne è la prova: nella sua brevissima vita ha vissuto lunghi periodi lontano dalla mamma, è stato collocato presso famiglie affidatarie, parcheggiato in una comunità fatiscente. Un calvario iniziato quando era piccolissimo e venne allontanato in quanto una psicologa e un’assistente sociale avevano intravvisto un mancato attaccamento del bambino nei confronti della mamma».

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Lunedì 18 Luglio 2022 16:34

Aosta

 

I servizi sociali tacciono, come sempre,

e i politici fanno finta di non vedere


Tutti conoscono la storia del padre che, anni or sono, è stato costretto a vivere in macchina, dopo che la casa popolare, in cui abitava con la moglie ed i tre figli, di cui una con difficoltà esistenziali ed un’altra ancora bambina, con la separazione, è stata assegnata alla madre, che, fra l’altro, aveva abbandonato la casa coniugale per dichiarati maltrattamenti in famiglia (mai dimostrati, nemmeno in sede civile, durante il procedimento di separazione, benchè raccontati più volte al giudice).

Maltrattamenti mai querelati dalla presunta “vittima”, ma, in base agli interessati timori “infondati” riferiti dalla moglie ai servizi sociali, da loro fatti propri con tanta solerzia, al punto da attivarsi perfino per revocare la licenza di porto di fucile e quella licenza da caccia (mai più riconcessa per meccanismi che si basano su una incomprensibile ed assolutamente non condivisibile discrezionalità, anche quando palesemente infondata, della questura e della prefettura) e per fargli sequestrare, a scopo cautelare, armi e munizioni, la cui lacunosa e generica relazione è stata sufficiente al tribunale per assegnare la casa coniugale alla moglie, senza alcun riscontro giudiziario e professionale con specifica Ctu sul comportamento e sullo stato psichico materno, che, come tutti sapevano e sanno, si disinteressava e si disinteressa dei figli, non prepara loro nemmeno i pasti, lasciando per molte ore la figlia psichicamente non autosufficiente alla sorellina di età allora inferiore ai dieci anni. Inoltre, in contemporanea, queste due sorelle uscivano di casa senza alcun controllo. Il padre lavorava e la madre, invece di procurarsi stabilmente un reddito per contribuire al mantenimento della famiglia, chattava e incontrava, poi, le persone contattate su internet, mettendo a rischio le due figlie.

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Venerdì 15 Luglio 2022 08:57

La nomina dell’amministratore di sostegno

non può essere solo un business economico


La Cassazione annulla il provvedimento con una sentenza che diventa giurisprudenza. L’avvocato Miraglia, difensore della signora, ha così commentato la vittoria: «da mesi sostengo che siamo di fronte a un nuovo business sulla pelle dei più fragili»

Ha fatto giurisprudenza, entrando tra le massime di Cassazione civile, la sentenza con la quale la Suprema Corte di Cassazione ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato Miraglia in difesa della sua assistita, una docente e artista di Parma: per gestire da sola l’ingente patrimonio di famiglia, la sorella aveva chiesto per lei un amministratore di sostegno. La Cassazione ha ribaltato la sentenza del Tribunale di Parma emanata nel 2019, confermata l’anno successivo dalla Corte d’Appello di Bologna, affermando che il ricorso all’amministratore di sostegno non può essere usato per dirimere conflitti familiari, specialmente laddove nella cerchia familiare ci sia qualcuno che possa supportare le persone nella gestione del proprio patrimonio. «Tra l’altro le sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello si basano su “sensazioni” e non su prove concrete – afferma l’avv. Miraglia – formulate esclusivamente su ipotesi e presunte diagnosi senza che alcun professionista abbia mai visitato la mia assistita».

Si legge infatti che la donna «seppur non affetta da una patologia nosograficamente accertata, manifesta comportamenti che fanno esistere il "fondato sospetto" e inadeguatezza della beneficiaria ad occuparsi dei propri interessi, e di riflesso anche di quelli della sorella» essendo il patrimonio di famiglia, ereditato dai genitori, ancora non diviso.

Proprio per confutare questa mancanza di prove concrete la donna, attraverso l’avv. Miraglia, ha presentato ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha recepito le osservazioni presentate, ritenendo che tale situazione potrebbe essere risolta anche verificando la possibilità di reperire nella cerchia familiare il supporto eventualmente necessario (in questo caso il marito) e che l’amministrazione di sostegno non può essere un rimedio alternativo per la risoluzione di conflitti endofamiliari di natura patrimoniale, che possono essere risolti agendo secondo le specifiche azioni di tutela della proprietà.

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Venerdì 15 Luglio 2022 08:55
 
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Giovedì 14 Luglio 2022 15:59

LA CONVIVENZA ANCORA CONDIZIONA

IL DIVORZIO!!


Avv. Gerardo Spira*

Quando, finalmente, la coppia è riuscita a raggiungere la meta del divorzio, dopo anni di difficili conflitti personali, distruzione di risorse patrimoniali e familiari e dopo un grande respiro di liberazione, emergono dalle ceneri del camino della convivenza, tizzoni ancora ardenti sui quali la donna divorziata soffia per trarne giovamento fino all’ultima cenere.

L’associazione ha sempre sostenuto e tutt’ora che le maggiori responsabilità nelle questioni dei divorzi e separazioni derivano dalle lungaggini dei tempi dei procedimenti e dalle decisioni contrastanti che riempiono i libri della giurisprudenza, da nord a sud del Paese. Diversità di pensiero e di comportamenti che non trasportano il cittadino verso la fiducia nella Giustizia, e neppure verso le istituzioni di supporto coinvolte nei processi e procedimenti che riguardano la famiglia. Diritti e doveri sono diversamente applicati e interpretati, in una visione che mortifica i principi costituzionali e il mondo del diritto. Eppure i giurisperiti, studiosi selezionati per cercare la VERITA’° nelle questioni, non riescono a stare al passo con l’evoluzione della società che si muove sempre più verso il maggiore riconoscimento del valore dell’uomo, la parificazione delle condizioni di vita e di opportunità dell’uno e dell’altro genere. Principio questo che, anche per insistenza della donna, è divenuto un corollario costante, sempre presente nelle questioni sociali, coniugali e familiari.

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Lunedì 11 Luglio 2022 18:16

nuove precisazioni della Cassazione


Patrocinio a spese dello Stato


Avv. Francesco Valentini*

Il patrocinio a spese dello Stato (art. 76 e ss. del Dpr n. 115/2002) è concesso ai cittadini che si trovano in difficoltà economica e che non sarebbero in grado di sostenere le spese processuali (la parcella dell’avvocato, il contributo unificato, la Ctu e fino alle spese di notifica) per procedimenti civili (separazioni consensuali, divorzi congiunti etc.), amministrativi, penali, tributari, procedure di volontaria giurisdizione, contabili, per la mediazione civile obbligatoria. Il reddito annuo lordo dell’intero nucleo familiare non deve superare €. 11.746,68 per i processi civili, mentre per quelli penali l’importo viene elevato di €. 1.032,91 euro per ogni familiare a carico e convivente (D.M. 30 luglio 2020, pubblicato in G.U. n. 24 del 30.1.2021).

Vanno presi in cinsiderazione tutti i redditi (persino quelli derivanti da attività illecita) effettivamente percepiti o posseduti dal richiedente e dai membri del suo nucleo familiare, anche se non sottoposti a tassazione, compresi, dunque, i redditi esenti dall’Irpef, quelli soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o a imposta sostitutiva, come i redditi da lavoro dipendente, l’assegno di mantenimento da parte dell’ex coniuge, le pensioni estere, le rendite Inail, l’indennità di accompagnamento, il reddito di cittadinanza, e tutte le risorse economiche percepite dal nucleo familiare, che, però, non costituiscono reddito e, di conseguenza, non vengono riportate nelle dichiarazioni annuali o i contributi pubblici il cui bando prevede che facciano reddito (Cass., ordinanza del 30 settembre 2019 n. 24378).

Quando il procedimento giudiziario riguarda i diritti della persona e gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri membri del nucleo familiare con lui conviventi, si tiene conto esclusivamente del suo reddito.

Hanno diritto al patrocinio a spese dello Stato tutti i soggetti residenti in Italia e non residenti il cui reddito è prodotto nel nostro Stato, le persone fisiche con partita Iva (liberi professionisti e imprenditori), i soci di società di persone o capitali, i cittadini comunitari e gli  extracomunitari con permesso di soggiorno.

Sono ammessi al gratuito patrocinio, se il loro reddito eccede la soglia stabilita, le vittime di maltrattamenti contro familiari o conviventi (art. 572 c.p.), pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili (art. 583 bis c.p.), violenza sessuale (art. 609 bis c.p.), atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.), violenza sessuale di gruppo (art. 609 octies c.p.), atti persecutori (art. 612 bis c.p.), riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (art. 600 c.p.), prostituzione minorile (art. art. 600 bis c.p.), pornografia minorile (art. 600 ter c.p.), iniziative turistiche volte allo sfruttamento della prostituzione minorile (art. 600 quinquies c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p.), acquisto e alienazione di schiavi (art. 602 c.p.), corruzione di minorenne (art. 609 quinquies c.p.), adescamento di minorenni (art. 609 undecies c.p.).

Sono esclusi dal cd. gratuito patrocinio i reati di evasione fiscale, di associazione mafiosa, di contrabbando di stuppefacenti. Non sono ammessi due difensori, eccetto che per le multe stradali. Sono esclusi dal patrocinio statale i procedimenti inerenti crediti e diritti di altri soggetti e le persone già condannate con sentenza passata in giudicato.

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Lunedì 11 Luglio 2022 18:07

Corte d’appello di Perugia


L’assegno di mantenimento del figlio

decorre, sempre, dalla richiesta di affido


La Corte d’Appello di Perugia ha condannato un padre a versare alla madre l’assegno di mantenimento (€. 400 al mese) del figlio - collocato, nell’udienza presidenziale, provvisoriamente presso di lei - a partire della data di presentazione della sua istanza di affido, indipendentemente dal fatto che il figlio, di età prescolare, è stato pochi mesi dopo collocato presso il padre, stabilendo che la madre versi al padre, non 400 euro al mese, ma solo 150. La madre pretende subito gli arretrati dalla data di presentazione dell’istanza, ma il padre ricorre al Giudice di Pace, il quale dà ragione al padre, poiché il mantenimento decorre dalla data in cui il giudice stabilisce la collocazione del minore. La madre, a questo punto, ricorre alla Corte d’Appello di Perugia, che, al contrario, obbliga il padre a versare l’assegno di mantenimento fin dalla data di presentazione della istanza di affido. (Corriere dell’Umbria 7.7.2022, “Perugia, il tribunale interviene sull'assegno di mantenimento del figlio: da versare anche prima della sentenza").

La sentenza merita alcune considerazioni.

Il mantenimento del figlio, fin dalla presentazione della domanda di affido, è giusto se la fine della convivenza della coppia è stata condivisa dai genitori ed è avvenuta dopo la pronuncia nell’udienza presidenziale e se la somma stabilita, in quella circostanza, rispetta i redditi effettivi dei genitori, anche quelli non dichiarati, e il tribunale ha accertato la veridicità delle dichiarazioni, perché, altrimenti, si commette una ingiustizia verso il genitore obbligato. E’ ovvio che, se la madre si allontana dalla casa familiare col figlio per scelte proprie e non oggettive, il giudice che stabilisce l’entità dell’assegno di mantenimento non può esimersi dal non considerare la circostanza.

Purtroppo, sovente non avviene così sia nel tribunale ordinario che nella Corte d’appello, sez. minorile, anche a Perugia, e il genitore non collocatario è vittima di una discriminazione culturale (ed economica) e/o della predominante e arrogante ideologia di genere sulla gestione dei figli. Non si può imporre al padre di versare una somma come assegno di mantenimento fin dalla richiesta di affido, senza che la stessa sia stata determinata con precise garanzie di equità. Quanto affermato trova conferma nel fatto che il figlio, nei mesi successivi, è stato collocato presso il padre, anche se con un mantenimento materno molto contenuto (- 62,5%) rispetto a quello spettante al padre.

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Lunedì 11 Luglio 2022 18:05

La Cassazione stabilisce che


Le spese condominiali della casa familiare

non possono essere chieste all’assegnatario


A chi spetta pagare le spese condominiali nella casa familiare/coniugale di proprietà di ambedue i genitori o di uno, solo ma, dopo la fine della convivenza, assegnata a quello con cui stanno i figli? E se l’obbligato non paga, l’amministratore del condominio può richiederle al proprietario della casa che non vi abita?

La Cassazione Civile (VIa,, ord. n.16613/2022) ha chiarito che, nel caso di inadempienza del genitore che vi abita, l’amministratore, per la riscossione dei contributi e delle spese di manutenzione, le c.d. spese condominiali, non può agire in giudizio contro l’assegnatario della casa familiare, ma esclusivamente nei confronti del proprietario, che, a sua volta, potrà rivalersi nei confronti dell’altro genitore. L'assegnazione della casa familiare al coniuge o al convivente affidatario di figli minori o di maggiorenni non economicamente autosufficienti (per il 94% sempre alla madre), sottolinea la Suprema Corte, è un diritto personale di godimento sui generis e l’amministratore non può agire giudizialmente nei suoi confronti “l'amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l'esercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioè dall'effettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare, sicché è esclusa un'azione diretta nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dell'unità immobiliare adibita a casa familiare, configurandosi il diritto al godimento della casa familiare come diritto personale di godimento sui generis”.

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